“Robe da Matti”, trent’anni di folle arte nel manicomio di Rieti: la mostra della Fondazione Varrone | FOTO

Foto: Farncesco PATACCHIOLA ©

(di Chiara Pallocci) “Pericoloso a sé e agli altri”. Questa la dicitura necessaria al ricovero coatto all’interno dell’Ospedale Psichiatrico. A 40 anni dalla morte di Franco Basaglia, ispiratore della Legge 180, con la mostra “Robe da Matti”, la Fondazione Varrone, in collaborazione con la Asl di Rieti e curata dal Dott. Manlio Paolocci, ha voluto ricordare tutti coloro che, all’interno di un manicomio, vissero e sopravvissero rifugiandosi nell’arte. “È incredibile la capacità espressiva che questi quadri hanno  – commenta il presidente della Fondazione Antonio D’Onofrio – Una follia che non possiamo dimenticare. Una realtà di violenze, errori di impostazione”.

Dal 3 ottobre al 1 novembre, negli spazi della Sala Mostre di Palazzo Potenziani, sarà possibile visitare una raccolta di opere realizzate dagli “Internati” del “San Francesco” di Rieti, prima succursale del Manicomio di Perugia, poi del Santa Maria della Pietà di Roma (solo nel 1927 diventerà Ospedale Provinciale per le malattie psichiatriche). Una selezione di 81 quadri, schizzi, disegni realizzati dai pazienti ricoverati – spesso per lunghe degenze – tra gli anni sessanta e gli anni ottanta. Tra le opere anche molti degli strumenti utilizzati per praticare l’elettroshock, le fasce di contenimento con le quali venivano immobilizzati accuratamente indicate tra adulti e bambini, i farmaci e gli “stantuffi” che aprivano e chiudevano i cancelli dei reparti: “Questa è una testimonianza di quel tempo – commenta D’Onofrio – Siamo contenti, sembrava un gioco e non immaginavo questa qualità”.

I brevetti colorati di Renato da Maglianello, il suo “Esaminapenziero”, un complesso esempio di ingegneria meccanica ben stilizzato da un pennarello verde che aveva il compito di leggere tra i pensieri, suoi e degli altri. Con il sogno di “venderli” alla “Fiat”. Anche gratis. I disegni dell’esule Giovanni Skira di Pola, così si faceva chiamare, l’autore di circa 150 disegni a matita e a pastello; volti delicatamente femminili e lotte feroci tra animali, il volto di Cristo. Il dottor Paolocci – che questi “folli” artisti li ha conosciuti e seguiti durante la sua lunga carriera – sfoglia ancora senza smettere di sorprendersi lo spesso album di fogli avorio e racconta di Fernando di Frascati al quale aveva fornito colori e pennelli: “Entrava all’improvviso nella sala del medico di guardia e cominciava a dipingere”.

Non mancano le testimonianze di pazienti stranieri, provenienti dal Santa Maria della Pietà di Roma al massimo della capienza: Pascal, ex legionario che ha impresso con la china le scene e le esperienze di vita all’interno della Legione Straniera, le Suburre di Marsiglia. Il volto di un ricoverato ritratto da un altro ricoverato, è l’opera di Renato. A loro si aggiungono Primo, le cartoline di Filippo di Leonessa, i volti santi di Gabriella di Amelia, i richiami ai Macchiaioli di  Eugenio di Terni, Antonio, gli acquerelli di Giacinta di Torri. La lettera d’amore di “Principessa”, scritta per il suo “Principe”, il giorno prima di morire stroncata da un cancro

“La mostra è tratta dalla permanente presente all’interno della Direzione della Asl – racconta Marinella D’Innocenzo, Direttore Generale Asl Rieti – Un Paese che rispetta i diritti e tutela i più fragili è un Paese più libero. È importante capire che le diversità sono ricchezze e non c’è salute senza salute mentale. La Covid ha avuto l’effetto di far emergere la necessità di rimanere in contatto e l’importanza della continuità nella cura. I nostri operatori sono stati meravigliosi nel gestire i pazienti da remoto. Nessun paziente è stato allontanato: questo è il modello di salute mentale che vogliamo”.

E tra quei padiglioni, “dove giorno e notte si assomigliano, nella poca luce che trafigge i vetri opachi”, anche l’alienazione più radicata, ha creato arte.

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