Valentino, un reatino a San Diego: “Negli States il talento è premiato, ma non sono un cervello in fuga” / LA STORIA

Riceviamo e pubblichiamo la storia che ci racconta Valentino Rindaldi, un ingegnere 27enne reatino che lavora in America, a San Diego. Un’esperienza magari utile per i suoi coetanei qui in Italia. 

Mi è costato un po’ di tempo mettere giù qualche riga. Sembra strano, ma il tempo passa in fretta e si fa fatica a non rimanere assorbiti dall’energia della vita quotidiana. Intensa e sorprendente, estrema e imprevedibile, da questa parte del mondo. San Diego è a 22 ore di volo, un Oceano più due continenti, e due anni di distanza da casa. Messo là, al bordo delle carte geografiche.

Gli Stati Uniti non sono quelli che ho letto sui giornali e visto in televisione. L’America non è una scoperta. L’America non è una garanzia. L’America bisogna guadagnarsela. Per vivere in California è necessario essere preparati, motivati, resilienti. Per me il “successo” non è la vera sfida. La sfida è conoscere me stesso e i miei limiti: di preghiera in idea, di parola in azione. Giorno dopo giorno mi guadagno una briciola di felicità.

A 27 anni, non ho etichette. Sono un viaggiatore in cerca di libertà. Non ho messo le radici sotto la terra di nessun colore. Ho lasciato fiori in ogni posto dove il mio fuoco ha trovato vento da mangiare e acqua da bere. No, non sono uno di quelli che in Italia chiamano “cervelli in fuga”. Sono una persona normale. Nato e cresciuto a Rieti immaginando la linea sottile tra la terra e l’Oceano.

Mi sono innamorato dell’ingegneria quando avevo più o meno ventuno anni. Ho scoperto la mia passione per la meccanica delle strutture civili durante il secondo anno accademico. Sotto la luce della scrivania mi divertivo a trovare risposte dove tutti vedevano domande. L’Università italiana mi ha premiato, dandomi la spinta verso i miei traguardi. Ho completato i miei studi negli Stati Uniti, a Miami, con una laurea americana in ingegneria civile. Molto successo negli studi e un futuro aperto davanti.

Sono tornato in Italia per diversi mesi. La crisi economica, la disoccupazione, il lavoro precario, la mancanza di garanzie. Si, l’ho vissuta. Ma più sulla bocca di chi mi poneva problemi più che soluzioni. Io non ci ho creduto e sono tornato in America. Mi sono innamorato della vita quando ho capito che il mondo è una scatola di opportunità, non un campo minato di pericoli. Così ho messo quel poco che avevo in una valigia e sono partito.

Mi sono innamorato dell’Oceano quando avevo ventuno anni. Ero a La Coruna per il mio anno di Erasmus. Ricordo che all’acqua fredda e salata dissi “arrivederci” e non “addio”. Non ho amato nient’altro come l’Oceano negli anni a seguire. San Diego non è stata una scelta. Il ritorno all’Oceano è stata una conseguenza.

Ho iniziato dal cantiere, a Gennaio 2016. Controllavo lo stato e la qualità dei lavori nella costruzione di strutture residenziali. Parlavo più spagnolo che inglese. La manodopera della California viene da sotto il confine. Migliaia di persone ogni notte attraversano la frontiera alla ricerca di un futuro migliore. La mattina dagli operai e dai capomastri imparavo le migliori lezioni sulla costruzione. La sera imparavo dalle onde dell’Oceano.

Al settimo mese, il capo di uno studio locale decise di puntare su di me. Da un giorno all’altro, ho iniziato a mettere i numeri sopra quelle strutture che ho visto costruire. Ho imparato velocemente come si progetta in legno. Gli architetti venivano in ufficio e lasciavano i disegni. Ogni Lunedì il nostro capo divideva il lavoro. Producevo in media 3 progetti a settimana. L’ufficio veniva pagato a ore. Regole del gioco: completare il lavoro nel 70% massimo delle ore sul contratto. Ho acquisito una speciale abilità e rapidità nel calcolo e nel disegno manuale. Poi, dopo mesi, gli architetti venivano di rado in ufficio. In giro non si vedevano più tanti cantieri come qualche mese prima. Un giorno, il mio capo mi chiamò, mi diede una stretta di mano e mi consegnò una lettera di arrivederci.

Negli Stati Uniti il talento viene premiato. Non ho deciso di arrendermi. Ho cercato attivamente nuove posizioni di lavoro. Poi, a un convegno con l’ordine degli ingegneri locali ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio futuro collega. In quel periodo il mio ufficio stava ultimando il progetto per lo stadio dell’ A.S.Roma. Dopo qualche giorno ho sostenuto un colloquio e nel giro di due settimane avevo tra le mani il progetto che tutt’ora porto avanti. E’ un progetto confidenziale di uno stadio per i mondiali di calcio FIFA Qatar 2022.  Poche settimane fa il progetto preliminare è stato approvato e l’impresa appaltatrice è in procinto a iniziare gli scavi per le opere di fondazione. Nel frattempo io e il mio staff sta già lavorando sul progetto definitivo.

La mia azienda è tra i leader mondiali per il progetto di opere strutturali di grandi dimensioni e grattacieli. Abbiamo 38 uffici nel mondo. Il mio team progettuale è diviso in 4 uffici. Nell’ufficio di San Diego progettiamo la cosiddetta “bowl” (ciotola, o struttura portante in calcestruzzo armato). L’ufficio di Los Angeles cura il progetto della facciata. A New York è stato sviluppato un innovativo concetto di copertura. L’ufficio di Mumbai cura la progettazione in BIM (building information modeling). E’ sorprendente come tutti i membri del team riescano a collaborare e comunicare per mezzo di nuovi mezzi tecnologici.

La vita di tutti i giorni a San Diego è molto positiva. La mia giornata comincia con meditazione, yoga e una piacevole passeggiata in bici lungo il San Diego River. L’ufficio è piccolo e accogliente. Condividiamo il nostro spazio con una nota archtitectural firm locale. L’età media è di gran lunga sotto i  40 anni. Lavorare con i miei colleghi americani è piacevole. Si lavora seriamente, ma c’è sempre spazio per un sorriso o il dialogo su argomenti dentro e fuori il mondo professionale. La giornata di lavoro in genere termina nel mio caso nell’oceano, dove attivo la mia connessione con la natura da qualche anno in mezzo alle onde, e condividendo la mia gratitudine a Dio con altri surfisti al calar del sole, oltre la linea sottile che sognavo qualche anno fa.

Foto: RINALDI ©

 

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1 Commento

  1. San diego è a 13 ore di volo