IL REPORTAGE – Viaggio nella Bologna di Lucio Dalla | FOTO – VIDEO

(di Sabrina Vecchi) È trascorso un altro 4 marzo e siamo sempre più poveri di Lucio Dalla. Una data che era il suo compleanno, che è nel titolo di una delle canzoni più celebri della musica italiana, e che beffa del destino fu anche quella del suo funerale: una coincidenza di cui senza dubbio lui avrebbe riso. A cinque anni dalla scomparsa del cantautore, RietiLife vi porta nella sua Bologna, alla scoperta dei luoghi che amava e frequentava, nei posti che hanno segnato la sua vita e le sue canzoni.

Per tutti era solo Lucio“, mi racconta una signora con le lacrime agli occhi, “lo incontravi e voleva sapere come stavi, cosa facevi, come ti chiamavi, anche se non ti conosceva. Girava per la città nella sua maniera assolutamente originale, libera da ogni convenzione: in palestra con una pelliccia addosso oppure con un maialino al guinzaglio”. Il critico musicale e amico di Dalla, Gino Castaldo, che non trattiene le lacrime all’ascolto di quel capolavoro che è “Henna”, ricorda come Lucio fosse avanguardistico – amava la tecnologia, le automobili potenti e i videogiochi -, e nel contempo molto legato alle origini, agli amici, alle persone legate alla sua infanzia, tanto che condivideva tutto con loro, incluse le sue case e la barca.

Il cantautore nacque nel 1943 a Bologna, in un palazzetto di Piazza Cavour al civico 2, e mai si separò dalla sua città. In quella casa rimase fino agli anni ’70, e pochi sanno che si riferiva proprio a quella piazza in una delle sue canzoni più famose, e non alla vicina Piazza Maggiore, salotto buono del capoluogo. Il piccolo Lucio sperimentava e covava un grande talento da autodidatta, coltivato dall’adorata mamma Iole che gli regalò un clarinetto, il “suo” strumento.

“Perfino la posizione delle mani era sbagliata, fui io a correggerlo. Era un totale principiante, eppure suonava”, racconta il regista Pupi Avati. Dal luogo di ritrovo con gli amici in piazza San Domenico passando per le abitazioni seguenti di via delle Fragole e vicolo Mariscotti, lo storico studio di registrazione Fonoprint di via Bocca di Lupo e le trattorie e i bar in cui si sedeva a parlare o lavorare per ore, a Bologna tutto parla ancora di lui. E nulla sembra cambiato. O meglio, i bolognesi proteggono la memoria di Lucio, ne tramandano le gesta, “è come se lo sentissimo ancora tra noi, come se potessimo incontrarlo ancora sotto i portici”. Pensi che siano luoghi comuni di una città che onora un suo celebre rappresentante, eppure ti accorgi presto che c’è di più.

In un cortile trovi ancora il suo scooterone parcheggiato, di sbieco: “L’aveva messo lui così e non ce la siamo sentiti di toglierlo”, dicono i passanti. I negozi espongono le sue foto, i ristoranti cucinano “ciò che piaceva a Lucio, che mangiava poco, negli ultimi tempi pochissimo”. Nel celeberrimo Cesari, la sua amata gramigna con salsiccia è sul menù come piatto fisso, e non c’è luogo pubblico che non esponga una sua foto, un testo di una sua canzone, un cappello che da generoso quale era aveva lasciato in dono. Ovunque riecheggiano in filodiffusione le sue canzoni, nei bar si serve “il caffè come lo prendeva lui, macchiato freddo d’estate e caldo d’inverno”, allo stadio nessuno si è più seduto sul posto che occupava, spesso accanto a Gianni Morandi.

Perfino il citofono della casa-museo di via D’Azeglio è rimasto invariato, perché è come se il “commendator Domenico Sputo”, pseudonimo con cui si autochiamava, dovesse rientrare da un momento all’altro. E da lassù, da quei terrazzi, da quelle finestre ad un passo dalla basilica di San Petronio, potessero risuonare ancora le sue note. “Lucio Dalla aveva un profondo legame con la spiritualità”, ci dice il critico musicale di La Repubblica Ernesto Assante, “ma credeva in un modo tutto suo, in un Dio che era sacro e laico allo stesso tempo. Di certo, l’enigma dell’aldilà Lucio l’ha risolto: è diventato immortale”. Foto: VECCHI ©

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