ERICA MILUZZI, DA RIETI A TORINO UNA ROMANISTA CHE LAVORA PER LA JUVENTUS

Chiacchierona, intraprendente e fiera di sé, delle sue scelte e della sua città. Poche parole per descrivere Erica Miluzzi, reatina doc trapiantata da circa sette mesi in quel di Torino. Perché il capoluogo piemontese? Erica, 27enne, lavora come allenatrice nella scuola calcio della Juventus, la Juventus Soccer School, dopo varie esperienze in città come guida di piccoli calciatori. RietiLife ha raccolto la sua testimonianza: oltre che un dipinto sulla sua figura – a tinte bianconere e, scoprirete, anche giallorosse – l’intervista a Erica si è rivelata come una sorta sprono per tutti quegli inguaribili sognatori a cui tante volte manca la scintilla per “togliersi uno sfizio”, come lei stessa ama dire.


Chi è Erica Miluzzi e cosa ha fatto prima di sbarcare a Torino ed indossare la divisa bianconera da tecnico della scuola calcio, un settore fondamentale nella crescita di un giovane calciatore?

“Sono una ragazza reatina, per la precisione del quartiere Piazza Tevere ed ho sempre avuto grande passione per lo sport. Durante tutto il periodo delle superiori ho giocato nelle fila della Venus, la squadra cittadina di calcio femminile e devo dire la verità, non ero fortissima. Giocare però è stato importante per passare all’insegnamento: ho iniziato a 21 anni, all’Alba Villa Reatina per poi passare al Rieti e chiudendo con l’Angioina, che mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con la Juventus visto che è un’Academy: responsabili bianconeri venivano una volta al mese ad incontrarci e da lì è nato tutto. Ho lavorato nei camp estivi al Sestriere e sono giunta sin qui. La mia determinazione mi ha permesso di conseguire, mentre allenavo i bambini reatini, una laurea in scienze motorie ed un master di preparatore atletico”.

E adesso?

“Adesso sono a Torino, faccio l’allenatrice nella Juventus Soccer School dallo scorso settembre, quando ho preso la valigia e ho fatto la scelta di vivere un’esperienza qui, in Piemonte. Un impegno a tempo pieno e che amo tantissimo fare. Vivo di questo, sono fortunata”.

Come si svolge la giornata di una reatina che lavora per la Juventus?

“Mi sembra brutto dirlo, ma ho le mattine libere. Lavoro di pomeriggio, dal lunedì al sabato compreso. Mi reco al campo intorno alle 16, un’ora e mezza prima dell’arrivo dei bambini per preparare l’allenamento ed il campo. Intorno alle 17.30 accogliamo i piccoli, con loro scherziamo e giochiamo, poi entriamo al campo per il consueto allenamento. Torno a casa intorno alle 20 dopo aver passato un pomeriggio pieno di gioia. Considerate che io ed altri due ragazzi seguiamo 30 calciatori, nati nel 2006 e nel 2007”.

C’è da immaginare che un club come la Juventus abbia strutture ed un’organizzazione al limite della perfezione e dello straordinario…

“Io sono romanista, ne vado fiera e qui a Torino non lo nascondo, ma devo riconoscere che la Juve a livello organizzativo cura ogni minimo particolare. Come dicevo, la scuola calcio conta oltre mille bambini, divisi su sette strutture, tutte perfette e funzionanti. Un modo per coprire ogni zona di Torino e non costringere le famiglie a fare troppi spostamenti per portare il proprio bambino dall’altra parte della città per allenarsi. Poi, ogni dieci iscritti c’è un allenatore: rientra nella filosofia della Soccer School, molto in sintonia con la Nike. In tutto i tecnici sono circa ottanta”.

Di questi ottanta quante donne ci sono? E le bambine-giocatrici?

“Nello staff della Soccer School (segretarie, personale vario) di donne ce ne sono molte, ma a scendere in campo siamo solo in tre. Le calciatrici? Anche quelle sono pochine e non perché sia vietato, ma perché magari giocano in squadre tutte femminili. Io credo che invece, almeno fino ai Giovanissimi, debbano giocare insieme ai maschi: per loro è formante, e quando si ritroveranno a giocare tra di loro, quelle che si saranno allenate coi maschietti avranno vita più facile, sarà una passeggiata emergere sulle altre che non lo hanno fatto”.

In particolare, che cosa fa un allenatore della scuola calcio della Juventus Soccer School?

“Qui ci occupiamo di ogni aspetto: da quello atletico a quello tecnico, passando per quello ricreativo. Seguiamo i bambini da quando entrano a quando escono. Addirittura li aiutiamo a vestirsi, asciughiamo loro i capelli dopo la doccia. Qui devono imparare ed uscire dall’impianto col sorriso. Sono passata in molte società e devo dire che quasi sempre allenatore e calciatori sono su un piano diverso, è quasi un rapporto fatto di freddezza. Qui è molto diverso”.

I bambini effettuano un allenamento molto “giocoso”?

“Qui si preme moltissimo sul lato calcistico-tecnico e tutti, da i più grandi ai più piccoli, lavorano sullo stesso obiettivo. Insomma, sin da subito i piccoli bianconeri vengono preparati molto e i risultati si vedono. Inoltre, di questi mille bambini, i più bravi vengono selezionati per andare a comporre le squadre del vivaio, quei gruppi che la Juventus coccolerà senza dover andare a pescare in altre società”.

Torniamo per un attimo a Rieti: tu hai visto le potenzialità della città e dei suoi piccoli sportivi. È vero che qui c’è poco da far crescere o siamo noi incapaci di tirare fuori le potenzialità dei piccoli calciatori di domani?

“I bambini hanno due gambe dappertutto, sia a Torino sia a Rieti. È solo un fatto di mentalità. Vi spiego: a Torino ad esempio, la stragrande maggioranza dei bambini fa due sport. Una situazione ideale, perché l’attività sportiva forma ottimamente la persona del domani. Potremmo avere una generazione migliore. Anche a Rieti si potrebbe fare: di certo le strutture non mancano, dovremmo solo usarle meglio. Il potenziale della nostra città è altissimo; in altri posti, con molto meno si fa molto di più. A mio avviso bisogna puntare, come già si fa, sui grandi eventi e soprattutto sull’attività quotidiana. Dove sono io adesso, i bambini non vengono considerati degli iscritti porta-soldi, ma coloro a cui bisogna trasmettere qualcosa. Dico questo non perché a Rieti mi sia trovata male, anzi, lo affermo soltanto perché ho avuto parecchie esperienze fuori e le cose sono diverse dalla mia città”.

Parliamo un po’ di te, Erica. Quali prospettive hai, quali ambizioni?

“In sette anni che alleno, forse arrivando qui a Torino mi sono tolta lo sfizio più grande. Prospettive? Questo credo sia il mio mondo, anche se vorrei adoperarmi più che sull’aspetto tecnico, su quello motorio e fisico, grazie alle mie conoscenze apprese all’università. Quella del preparatore è una figura che rimane un po’ nell’ombra, ma certamente importante. Mi piacerebbe rimanere a contatto coi bambini, anche un po’ più grandi rispetto a quelli che gestisco adesso. L’età compresa tra i dieci e gli undici anni sarebbe l’ideale”.

E per farlo, rimarrai in Piemonte?

“A settembre tornerò nel centro Italia, non so se proprio nella mia città natale o a Roma. Fosse per la Juventus potrei rimanere sempre qui: sono io che non mi adagio mai e voglio fare nuove esperienze. Ho in mente di farne una all’estero, a trascinarmi è la mia propensione e passione per i viaggi. Non so ancora dove, ma so che la farò. Il futuro, però, lo vedo nel mio territorio. Non voglio escludere nulla, nemmeno che un giorno aprirò una squadra tutta mia”

Sei un’istruttrice, un’educatrice a tutti gli effetti, ne sei consapevole?

“Sempre con la dovuta modestia, perché non sono nessuno, ma io più che un istruttore mi sento un’artista, nel senso che mi piace trasmettere la mia arte, quello che so e so fare. È bello perché la tua grande passione puoi passarla a qualcun altro in questa maniera. Per me, entrare in sintonia con coloro che ricevono la mia passione, è talmente tanto naturale che non me ne accorgo”.

Questa tua grande passione per lo sport ed il calcio in generale, come la alimenti? Hai una personalità di riferimento?

“Credo l’abbiate già indovinata. Non voglio fare la figura della solita romanista, ma io mi ispiro al capitano giallorosso, Francesco Totti. È grazie alla passione per lui che ho trovato la forza per raggiungere tanti obiettivi. La domenica andavo spesso a vedere la Roma”.

Quando ti rivediamo in quel di Rieti?

“A Pasqua sicuro, i pranzi reatini in famiglia non si possono rifiutare. Come ho detto, tornerò in pianta stabile da settembre, dopo un’ulteriore esperienza nei camp estivi nei quali spero vivamente di essere riconfermata. È stato un anno perfetto ma voglio altre esperienze, magari in qualche grande club del centro Italia. Ah, l’importante è che non sia nella Lazio. Lì proprio non potrei farcela…”

Ti manca la tua Rieti?

“Rieti ce l’ho sempre nel cuore: è il posto in più bello dove vivere. Ma se bisogna partire per un obiettivo io consiglio di trovare la forza. Chi ha un sogno e vuole fare un’esperienza, secondo me deve trovare il coraggio e fare la valigia. Ogni volta che si tornerà a Rieti si arricchiranno le conoscenze globali. Per migliorare, come non smetterò ma di ripetere, la mentalità”.

 (Redazione) Foto: RietiLife © 21 Marzo 2013

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