Una storia di burocrazia che lascia l’amaro in bocca e solleva interrogativi sul funzionamento delle istituzioni. A raccontarla è Maurizio, figlio di Luciano B., 86 anni, immobilizzato a letto, sottoposto a ossigenoterapia h24, affetto da BPCO, problemi cardiaci e cateterizzato. Una condizione certificata in modo chiaro e inequivocabile da strutture pubbliche, non da medici privati, eppure non ritenuta sufficiente dall’INPS di Rieti per il riconoscimento dell’accompagnamento.
«Mio padre a maggio si è rotto il femore in una caduta – racconta Maurizio – è stato operato all’ospedale di Rieti, ma purtroppo non si è mai ripreso: non è più in grado di alzarsi dal letto. Lo assistiamo giorno e notte. Nel mese di agosto è stato chiamato a visita dall’INPS per la valutazione dell’accompagnamento, ma essendo intrasportabile abbiamo inviato con anticipo tutta la documentazione medica tramite il nostro legale. Documentazione completa e certificata».
Eppure, la risposta è stata un diniego. «La commissione ha respinto la richiesta senza neanche visitarlo – prosegue – e questo è assurdo. Bastava mandare un medico a domicilio, visto che le condizioni di mio padre sono evidenti. Non hanno considerato nulla di quello che abbiamo prodotto».
Il riconoscimento dell’accompagnamento avrebbe consentito alla famiglia di affrontare le spese quotidiane per l’assistenza, integrando la piccola pensione di Luciano. «Dopo una vita di lavoro, tasse e contributi – conclude Maurizio – un cittadino si trova a 86 anni a non avere tutele nemmeno nelle condizioni più gravi. È inaccettabile. Dove è finito il buon senso?».