Il secolo di Domenico Sopranzi: 100 anni in Sabina

Il 29 dicembre 2025 Domenico Sopranzi, per tutti Memmo, spegne cento candeline.

Memmo compie 100 anni ancora in forma e con una memoria vivace: una di quelle che, se potesse scrivere a penna, o col calamaio col quale lui ha imparato a scrivere, anziché al computer, farebbe le cronache al posto nostro. E lo fa con lo stile di chi ha attraversato un secolo intero denso di eventi che hanno cambiato il mondo.

Eppure cento anni non sono un numero: sono la Storia – con la S maiuscola – che passa in una grande casa di campagna, tra il lavoro nei campi ed un camino acceso. Sono, per la nostra provincia, un’occasione rara e preziosa: fermarsi un istante e ascoltare.

Domenico nasce il 29 dicembre 1925, “quasi a Capodanno”, come si dice qui, in un bel casolare soleggiato della Sabina romana, nella valle del Tevere, a San Polo Sabino, oggi Comune di Tarano. Un mondo che oggi sembra lontanissimo e invece, a ben guardare, è ancora la radice di molte delle nostre abitudini. All’epoca non c’erano le strade asfaltate; non c’era la macchina, non c’era l’elettricità, nè l’acqua in casa. Non c’era “nulla”, si potrebbe dire. C’era tuttavia quel che serviva per crescere bene un bambino: una famiglia numerosa, la disciplina scandita dalla natura, l’aria buona, l’istinto di arrangiarsi e la cura degli altri.

E in quel mondo, fatto di campi da coltivare e stalle, nasce anche una passione che non lo lascerà mai: i cavalli. Da mezzo di locomozione quotidiana, per andare ai Colli di Lugnola, a Configni, dove la famiglia nel frattempo si era trasferita, a passione vera e propria. Domenico se ne innamora da bambino, e a otto anni il suo cavallo vince la prima gara.

Negli anni difficili della seconda guerra mondiale, Domenico sfugge anche a una brutta sorte: evita la deportazione dei tedeschi mentre lavorava alla realizzazione di una trincea a Terni, per un caso fortuito, e corre senza fermarsi da Terni a Lugnola, una coincidenza, che cambia la storia della sua vita.

Eppure un secolo non è solo ciò che si scampa. È anche ciò che si costruisce. Domenico lavora nei campi, fa l’agricoltore, tiene un monta equina per oltre 50 anni, vive i ritmi delle stagioni: seminare, aspettare, raccogliere. Capire quando è il momento di insistere e quando è il momento di fermarsi. La campagna insegna un’arte che oggi stiamo riscoprendo con fatica: non tutto si accelera, non tutto si forza. La terra ti ricorda che la vita ha un tempo giusto, e che l’essere umano è fatto per un ritmo “adatto”, non per la corsa perenne.

Nel 1960 Domenico sposa Esterina, “Rina”.

Memmo e Rina: due nomi che sembrano già una fotografia d’altri tempi, e forse lo sono: non solo per nostalgia, ma per solidità. Un matrimonio durato 60 anni, una vita condivisa davvero, e un amore che porta alla nascita della figlia Maria Rita, che poi con la sua progenie, lo renderà nonno di quattro nipoti e bisnonno di un pronipote.

E allora, qual è il segreto di cento anni? Domenico risponde con una frase sola: Ci si arriva facendo le opere buone, e sorride.

Il 29 dicembre, in Sabina, si festeggia un uomo che ha attraversato un secolo intero con la giusta misura. E se a cento anni ti guardano ancora con stima e affetto, vuol dire che hai fatto qualcosa di buono e di giusto.

Nel salone comunale di Configni, tra la famiglia e gli amici, con il paese intero riunito a festeggiare con la banda, si celebra un modo di vivere che ha tenuto insieme generazioni: la pazienza, la misura, la correttezza, la fedeltà alle persone e ai luoghi.

Si celebra un uomo che ha visto cambiare tutto – strade e mezzi, case e abitudini, modi di lavorare e comunicare – e che, proprio per questo, ci ricorda una cosa semplice: non è il progresso a farci uomini, ma ciò che scegliamo di essere mentre il mondo cambia.

Tanti Auguri, Memmo!

Foto: RietiLife ©

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