Sanità laziale, la protesta degli operatori CUP: “Mandiamo avanti gli ospedali senza diritti né dignità”

Sono spesso invisibili, ma senza di loro la sanità si fermerebbe. Gli operatori CUP e RECUP del Lazio tornano a far sentire la propria voce e lo fanno attraverso il sindacato COBAS Lavoro Privato, che parla apertamente di una vera e propria emergenza sociale.

Parliamo di oltre 1.500 lavoratrici e lavoratori che ogni giorno garantiscono prenotazioni, informazioni e assistenza agli utenti negli ospedali e nei presidi sanitari della regione. Un lavoro essenziale, svolto però da anni in condizioni di precarietà, con stipendi bassissimi e appalti al ribasso.

Ed è proprio il sindacato a descrivere nel dettaglio una realtà che troppo spesso resta fuori dai riflettori.

“Siamo la prima voce che sentite quando chiamate per una visita, il primo volto che incontrate allo sportello di un ospedale. Dietro ogni prenotazione, ogni informazione, ogni chiamata, ci siamo noi: gli operatori CUP e RECUP del Lazio. Una rete silenziosa di più di 1.500 persone che manda avanti ogni giorno la macchina amministrativa della sanità pubblica regionale”.

Secondo il COBAS, si tratta di una realtà che non si vede ma che pesa ogni giorno sulla vita dei lavoratori. “La nostra è una realtà fatta di precarietà, stipendi bassissimi e appalti al ribasso che durano da anni”.

Il sindacato punta l’attenzione sui contratti part-time imposti, spesso da 20 o 25 ore settimanali, che in alcune aree diventano ancora più penalizzanti.

“In alcune zone, come la ASL di Rieti, il part-time scende addirittura a 15 ore settimanali. Quindici ore che, per molti, non bastano nemmeno a coprire il costo del viaggio per andare a lavorare”.

A Rieti, infatti, alla riduzione delle ore si somma un altro problema strutturale.

“Molti operatori sono costretti a percorrere oltre 100 chilometri al giorno, andata e ritorno, per raggiungere le sedi più lontane. Una di queste è Amatrice”.

Un territorio simbolo di sofferenza e ricostruzione, dove però – sottolinea il sindacato – il peso del lavoro ricade ancora una volta su personale precario e sottopagato. “Anche ad Amatrice, gli operatori amministrativi della sanità continuano a garantire un servizio essenziale, affrontando strade difficili, inverni rigidi e spostamenti massacranti”.

Il quadro economico, secondo il COBAS, è allarmante. “Molti di noi passano più tempo in macchina che a casa, per stipendi che spesso non arrivano nemmeno a 800 euro al mese. Il tutto senza indennità adeguate, senza riconoscimenti, senza tutele”.

Una situazione che si aggrava ulteriormente per i lavoratori con invalidità riconosciuta.

“Tra gli operatori CUP e RECUP ci sono anche lavoratrici e lavoratori con invalidità. In assenza di strumenti di tutela adeguati, questa condizione rende ancora più difficile una quotidianità già segnata da precarietà e carichi elevati”.

Eppure, nonostante tutto, il carico di lavoro resta enorme. “Gestiamo flussi altissimi: decine di telefonate ogni ora, persone allo sportello, documenti, richieste urgenti. Spesso siamo inquadrati a un livello inferiore rispetto alle mansioni che svolgiamo, come riconosciuto anche da diverse sentenze del Tribunale del Lavoro”.

Il sindacato denuncia anche ritardi nei pagamenti e il rischio concreto di un ulteriore peggioramento delle condizioni economiche.

“In alcuni casi lo stipendio arriva in ritardo. Le ditte appaltatrici non pagano puntualmente. L’ultimo appalto regionale, inoltre, è insufficiente persino a coprire i costi del lavoro e rischia di far scendere i salari fino al 15% in meno”.

Dopo lo sciopero del 18 novembre, la mobilitazione è quindi tornata nelle piazze del Lazio.

“Chiediamo tre cose semplici: diritti, stabilità e dignità. Il riconoscimento dell’anzianità maturata, un inquadramento adeguato, l’aumento delle ore settimanali e un percorso di stabilizzazione, attraverso concorsi riservati o una gestione pubblica diretta dei servizi”.

Il messaggio finale è chiaro e diretto.

“Facciamo funzionare gli ospedali, ma siamo invisibili. Viviamo con stipendi troppo bassi, senza certezze. Non possiamo più andare avanti così”.

Per il COBAS Lavoro Privato si tratta di un’emergenza che non può più essere rinviata. Dalla Regione Lazio, però, al momento non sono arrivate risposte concrete. E mentre la sanità continua a funzionare grazie al lavoro quotidiano di queste persone, il loro futuro resta appeso a contratti precari e promesse mancate.

Foto: RietiLife ©

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