La storia è di quelle che fanno capire quanto il crimine economico, oggi, viaggi veloce quanto un bonifico online — e spesso molto più furbo. Dall’alba di questa mattina la Polizia di Stato ha dato esecuzione a un’operazione ad ampio raggio che ha toccato mezza Italia, comprese alcune attività anche nella provincia di Rieti. Nove persone sono state fermate su ordine della Procura di Brescia, mentre un decimo indagato è tuttora irreperibile e ricercato in Italia e all’estero.
Gli arrestati — cittadini cinesi, albanesi, nigeriani e italiani — sono ritenuti responsabili di un sistema collaudato di fatture false, riciclaggio e autoriciclaggio. Durante le perquisizioni, scattate prima che sorgesse il sole, gli agenti hanno sequestrato circa mezzo milione di euro in contanti, nascosti come si conviene quando il denaro non ha un’origine proprio cristallina.
L’indagine nasce a marzo 2025 da una truffa ai danni dell’Opera di Santa Maria del Fiore Onlus, impegnata nei lavori di restauro del Complesso Eugeniano di Firenze. Qualcuno, con il classico schema del man in the middle, era riuscito a convincere la Onlus a versare 1,7 milioni di euro su un conto fittizio. Da lì, gli investigatori hanno seguito le tracce digitali del denaro, scoprendo un mosaico di conti correnti sparsi tra mezza Europa e oltre: Cina, Lussemburgo, Polonia, Germania, Spagna, Lituania, Nigeria, Croazia.
Il quadro che emerge è quello di un sistema criminale ben oliato. Al centro, secondo gli inquirenti, due fratelli italiani abili nel tessere la rete: trovavano i “clienti”, fornivano società cartiere e mettevano in contatto gli imprenditori compiacenti con referenti cinesi basati tra Milano, Vicenza e Prato. Le false fatture transitavano sui conti delle “cartiere”, e poi il denaro — al netto delle percentuali, perché nulla è gratis — tornava in contanti ai richiedenti.
Il meccanismo di retrocessione era quasi da manuale: tra il 2 e il 7% finiva ai cittadini cinesi, un altro 2% ai due intermediari italiani. Il resto in contanti, consegnato spesso sulla pubblica via. Un appartamento milanese, riconducibile a una cittadina cinese, sarebbe stato il vero “caveau” del gruppo. Da lì partivano i pacchetti di denaro, consegnati a mano dagli “spalloni” e trasportati fino alla provincia di Brescia, previa verifica tramite un pin di riconoscimento. Criminalità sì, ma organizzata — quasi più della logistica di una grande azienda.
Nel corso dell’indagine è emerso anche un ulteriore episodio di riciclaggio legato a un’altra frode informatica ai danni di una società ceca. Stesso schema: trasferimenti esteri, conti appoggiati a prestanome, retrocessioni in contanti, percentuali per tutti gli “addetti ai lavori”.
Il giro d’affari? Impressionante: 30 milioni di euro mossi in soli sei mesi. In un controllo su strada del 4 settembre 2025, una cittadina cinese è stata fermata con quasi 200mila euro in contanti sigillati in involucri di plastica e nascosti in auto. Il classico “non è come sembra”, tranne che stavolta era esattamente come sembrava.
Foto: RietiLife ©








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