Il dado è tratto: la nostra regione resterà fuori dalla Zona Economica Speciale. Una decisione che pesa, soprattutto per una provincia che ancora porta addosso le ferite del sisma. Eppure, il tentativo di ottenere l’inserimento nella ZES non è mancato: istituzioni, rappresentanze e territori hanno remato dalla stessa parte. Ne è prova la votazione unanime del Consiglio comunale di qualche settimana fa, un segnale raro di unità.
Nonostante questo, a livello nazionale non c’è stata quella compattezza che avrebbe potuto cambiare il finale. “La legge sui requisiti è molto stringente” si constata nel comunicato, e la realtà è proprio questa: la cornice normativa lasciava poco margine.
Il problema, però, resta sul tavolo e non è secondario. Con le regioni confinanti che potranno beneficiare del meccanismo incentivante della ZES, il divario rischia di allargarsi. È facile immaginare le conseguenze: meno competitività, meno attrattività per gli investimenti, più fatica per crescere. Ma arrendersi non è un’opzione.
“Sarà dunque necessario mantenere alta l’attenzione e concentrare tutti gli sforzi per evitare possibili danni collaterali al nostro tessuto economico e sociale”, si legge nel documento. E qui sta il nodo: non basta lamentarsi, serve reagire.
Simeoni lo dice senza giri di parole: l’equazione “No ZES, No Party” è la tentazione più facile — e la più sbagliata. “Sarebbe l’atteggiamento più nichilista da adottare se davvero crediamo nel nostro territorio”, sottolinea, invitando a una visione più ampia, più coraggiosa.
L’incontro dedicato allo sviluppo ha infatti messo sul tavolo molte carte ancora da giocare. In ambito industriale, tutti hanno convenuto sulla necessità di ritrovare una vocazione chiara. Logistica, economia circolare — riprendendo il cammino aperto dall’APEA — e altri settori emergenti possono diventare i pilastri di un rilancio strutturale.
Gli strumenti non mancano: la ZLS, l’area complessa economicamente svantaggiata, e soprattutto il finanziamento da 20 milioni di euro assegnato dal Governo al nucleo industriale. Segnali che indicano che il percorso non è chiuso.
Sul tavolo c’è anche la proposta di riformare il Consorzio Unico del Lazio per garantire una struttura distrettuale più autonoma e più capace di rispondere alle esigenze reali del territorio. Importante pure il ruolo del Parco Scientifico e Tecnologico come cerniera tra università e imprese, un punto da cui far partire innovazione e trasferimento tecnologico.
Non manca poi una riflessione sulle potenzialità della meccatronica applicata all’agricoltura — un modo intelligente per far dialogare tradizione e tecnologia — e sul valore dell’artigianato, che può ancora essere un motore economico se sostenuto da ricerca e innovazione.
Il quadro, insomma, è complesso ma non disperato. “Le difficoltà da affrontare sono molte, ma esistono tutti gli elementi per scongiurare un destino all’insegna del declino”, si legge. E da questo punto nasce la proposta più concreta della giornata.
“Insieme all’amico Chicco abbiamo proposto la costituzione di un Comitato permanente per lo sviluppo del territorio”, annuncia Matteo Simeoni, promotore dell’iniziativa. Un organismo stabile, partecipato, che coinvolga istituzioni e portatori d’interesse per delineare — finalmente — una rotta chiara e condivisa.
Una scelta di responsabilità, quasi di artigianato politico: mettere insieme pezzi diversi per costruire una visione che duri e che non dipenda dai singoli momenti di emergenza. Perché la ZES poteva essere un aiuto, certo. Ma non è l’unico treno che passa. E quando le condizioni sono avverse, serve — come ricorda Simeoni — “quello scatto di reni necessario”.
Foto: RietiLife ©








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