Quando il tifo uccide: Rieti di fronte alla tragedia. L’editoriale di Luigi Spaghetti

Quella che si è consumata domenica scorsa tra Sebastiani Rieti e Pistoia non è stata una partita di basket. È stata una tragedia che ha lasciato sgomenta l’intera città: l’uccisione di Raffaele Marianella, autista del pullman che riportava a casa i tifosi toscani, vittima di una vigliacca aggressione lungo la superstrada Rieti-Terni.

Tre reatini, tra i 20 e i 53 anni, sono stati arrestati per omicidio in concorso; un’altra persona è indagata a piede libero per favoreggiamento, mentre nove supporter locali hanno ricevuto il Daspo. Un uomo è morto per la scelta di una mano che ha colpito senza scrupoli, accecata da un odio che probabilmente covava da tempo. La Procura di Rieti ha chiarito che, pur senza premeditazione, la responsabilità è collettiva: tutti hanno contribuito alla pianificazione e all’esecuzione dell’agguato. L’unica aggravante è quella dei motivi futili. Una tragedia nata da una partita di basket.

Contesto e dinamiche contano. Il tifo violento e i gemellaggi tra curve hanno trasformato una competizione sportiva in un terreno esplosivo. Le tensioni erano già emerse dentro il PalaSojourner, subito sedate dalle forze dell’ordine. Ma l’odio tra fazioni, alimentato da alleanze tra curve, è degenerato fuori dal palazzetto, culminando nella morte di Marianella.

Non possiamo dimenticare le vittime indirette di questa tragedia: le famiglie dei tre ultras reatini detenuti a Vazia, travolte da un dramma che segnerà inevitabilmente le loro vite. Un dolore nel dolore.

In questi giorni, la città ha reagito con compostezza, evitando strumentalizzazioni. Le fiaccolate silenziose di Rieti e Contigliano, promosse dalla Diocesi, hanno ribadito un “no” chiaro e fermo alla violenza, invitando a riflettere e a cercare un nuovo inizio.

È il momento di guardare in faccia una realtà scomoda: il mito di “Rieti isola felice” non regge più. Il tifo violento esisteva già, monitorato e contenuto con Daspo e interventi delle forze dell’ordine, ma domenica scorsa ha mostrato il suo lato più feroce.

Serve chiarezza e responsabilità: una partita non può diventare questione di vita o di morte. Serve una cultura sportiva che sappia distinguere il gioco dalla brutalità. Rieti è davvero altro? Allora dimostriamolo con i fatti, non solo con le parole.

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