Foto: Gianluca VANNICELLI ©
(di Christian Diociaiuti) L’uomo più vicino al Papa, che poteva esserlo. Presente qui, a Rieti. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano in città. La processione dal vescovado (dopo un incontro in episcopio con i vescovi dell’alto Lazio, guidati da Vito Piccinonna, numero uno della Chiesa di Rieti) verso la Cattedrale, accorciata a causa della pioggia. Poi una Santa Maria gremita. Si festeggiano, così (e per un anno), gli 800 anni dalla Dedicazione della Cattedrale tanto cara ai reatini e simbolo della città di Santa Barbara e di Sant’Antonio.
A salutare Parolin, proprio Piccinonna: il pensiero al territorio, ai suoi simboli di fede, e poi al Mondo in guerra. L’Ucraina, la Palestina “le guerre conosciute e quelle sconosciute”. Un “grazie Cardinale per essere qui” per celebrare la Cattedrale e per dare indulgenza (plenaria) ai reatini, che così, tanto spiritualmente quanto fisicamente, potranno festeggiare questi ottocento anni della chiesa più emblematica della città. Le offerte raccolte durante la messa finiranno a Gaza: “Le faremo avere al cardinale Pizzaballa” ricorda Don Paolo Blasetti.
Il Vangelo di Giovanni su Gesù e la cacciata dei mercanti dal tempio apre la strada all’Omelia di Parolin. C’è il tempio, la Cattedrale, dunque, ma anche il più alto messaggio del Messia, in cui un edificio si trasforma punto di incontro tra fedele e Altissimo. Un luogo inviolabile e di pace. “Il mio saluto è anche benedizione di Papa Leone XIV – ha detto Parolin – Non ammiriamo solo un tempio di pietre oggi. È un tempio più grande, non costruito da mani umane, pur avendo ospitato ben 5 papi tra 1200 e 1300. Ce lo dice Gesù nel Vangelo di Giovanni. Oggi celebriamo Cristo Signore. E la sua sposa: la comunità ecclesiale di Rieti e la risposta data nel tempo. Comunità che ha vissuto il dolore, che ora deve versare lacrime di gioia. Speranza, anche in un mondo di guerre e sconvolgimenti di ogni tipo”. Nessun riferimento diretto a Gaza o all’Ucraina, pure citati da Piccinonna in avvio di celebrazione, ma un riferimento diretto, tramite la Speranza, ad uscire presto da ogni problema e conflitto. E a poco più di un mese dal Giubileo dei Giovani, l’appello ai giovani, “siate portatori di gioia, pace e speranza”, citando i due nuovi santi, Frassati e Acutis.
L’OMELIA COMPLETA DI PAROLIN A RIETI
Omelia del Cardinale Pietro Parolin in occasione degli ottocento anni della Dedicazione della Cattedrale di Santa Maria
9 Settembre 2025 Ufficio Comunicazioni Sociali
OMELIA 800 ANNI DEDICAZIONE CATTEDRALE DI SANTA MARIA
Rieti, 9 settembre 2025
SE Mons. Vito Piccinonna, Pastore di questa Diocesi,
Cari sacerdoti e diaconi,
Religiosi e religiose,
Distinte Autorità civili e militari,
Cari fratelli e sorelle,
A tutti rivolgo un cordiale saluto nel Signore, che vi porta anche la vicinanza e la benedizione di Papa Leone XIV, e vi saluto con le parole del libro di Neemia che abbiamo appena ascoltato : “La gioia del Signore è la vostra forza” (8,10).
Oggi, infatti, siamo chiamati a gioire, a far festa e a rendere grazie a Dio nell’ottavo centenario della Dedicazione di questa Basilica Cattedrale di Santa Maria, madre di tutte le chiese della Diocesi di Rieti. Ma chiediamoci: cosa vuol dire celebrare l’anniversario della dedicazione di una chiesa e, in particolare, di questa chiesa?
Non si tratta semplicemente di “fare memoria” di quel giorno di grazia richiamandone eventi, personaggi e riti. Non si tratta neanche di celebrare una “commemorazione” di una realtà che era e non è più; si tratta, piuttosto, come l’Eucaristia stessa ci invita a fare, di “celebrare il memoriale” dell’amore e della grazia di Dio che, da 800 anni a questa parte, si sono riversati e continuano a riversarsi nell’oggi di questa comunità diocesana.
Celebriamo, in un certo qual modo, La Storia della Salvezza di cui il Signore ha reso partecipe questa diocesi in questi anni. Oggi, perciò, non ci soffermiamo semplicemente ad ammirare un tempio di pietre; questo, piuttosto, è segno di un tempio ben più grande non costruito da mani d’uomo.
Ed è il Vangelo di Giovanni, appena proclamato che ce lo rivela con le parole stesse di Gesù. Abbiamo sentito come il Maestro, interrogato da alcuni giudei che gli chiedevano ragione del gesto compiuto, così inatteso e sorprendente – aver cacciato i venditori e i cambiamonete dal tempio – risponde interpretando quel gesto e spiegando (ad essi, allora, e a noi, oggi) ciò che il tempio rappresenta: «“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo».
Festeggiare l’anniversario della dedicazione non vuol dire, dunque, celebrare la maestosità dell’edificio, l’antichità delle pietre e neanche la grandezza di una diocesi – che, tra l’altro, ha ospitato dal 1200 al 1300 ben cinque Papi testimoniando così anche il forte legame con il successore di Pietro e la comunione con la Chiesa universale –, ma Colui che è il nuovo Tempio, il nuovo Altare, il nuovo Sacerdote e la nuova Vittima: Cristo Signore.
Ma, come ben sappiamo, la Storia della Salvezza è una storia d’amore tra due attori: Dio e il suo popolo. Perciò, se oggi celebriamo lo Sposo, non possiamo non celebrare la sua Sposa, ossia questa comunità ecclesiale di Rieti. Celebriamo, in particolare, la risposta di fede che essa ha saputo offrire all’amore incondizionato di Dio che ha origine ben prima di 800 anni fa.
Una fedeltà, quella di questa comunità, provata più volte da sconquassi, “terremoti” – quelli naturali, certamente, i quali hanno lasciato tracce indelebili nelle persone e nelle mura di questa comunità –, ma anche da altri tipi di “terremoti” che tuttora scuotono questo territorio nella sua profonda identità: il continuo spopolamento dei suoi centri; la fuga dei giovani; la mancanza di vocazioni; la fatica nel cucire i rapporti in un territorio piuttosto frammentato; lo sconforto nel vedere non risolte situazioni che rischiano di incancrenirsi.
Eppure, una fedeltà che è rimasta salda perché fondata sulla salda roccia che è Cristo, pietra angolare, nostra speranza che non delude, come ci ricorda Paolo nella Lettera ai Romani, diventata la Parola-guida di questo Giubileo universale 2025 nel quale si celebra anche il Giubileo di questa Cattedrale.
Una comunità che, certamente, nella sua storia ha versato lacrime di lutto e dolore ma che oggi, con le parole della prima lettura, è invitata a non piangersi addosso – nonostante alcune difficoltà persistano – e a versare nuove lacrime, questa volta di gioia, suscitate dall’ascolto della Parola del Signore che ancora una volta conforta, guarisce, rialza.
Per cui, le parole del Libro di Neemia “non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza” (Nm 8,10) diventano un invito deciso a guardare avanti con speranza, coraggio e fiducia certi, con il profeta Isaia, che «nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo» (Is 62,4).
Da questa cattedrale, dunque, «se davvero avete gustato che buono è il Signore» (1Pt 2,3), deve partire oggi, dopo una lunga storia, una risposta che diventa conferma di fede nella Parola di salvezza.
Chiediamo al Signore di confermare e irrobustire la nostra fede e continuare a sperare. Sperare, anche quando il mondo sembra voler divorare la nostra speranza con continue guerre, disordini, “terremoti” spirituali, antropologi e esistenziali, questa volta non causati dalla imprevedibilità della natura ma dalla “prevedibile” scelleratezza dell’uomo; una speranza operosa, certi che, anche se l’uomo è capace di distruggere, il Signore è colui che fa risorgere. Egli ci chiede di essere, come Lui stesso, “segno di contraddizione” in rapporto a questo mondo, come ci dimostra il gesto della cacciata dei mercanti dal tempio; ossia, saper andare contro corrente e nuotare, spinti dal soffio dello Spirito, nelle acque del Vangelo. Gesù ci invita a essere “sale della terra”: ce lo ricorda anche questa stessa città, di origine romana e collocata su una delle vie consolari più importanti, la Salaria, che legava Roma alla costa del Mare Adriatico da cui proveniva appunto il sale. Come questo prezioso elemento, dovremmo essere capaci anche noi di dare sapore e garantire il gusto evangelico di quanto operiamo nella nostra Chiesa.
Come fare tutto questo? Come far sì che questo ottavo centenario diventi il momento, per questa diocesi, di guardare al passato per benedire il Signore per i benefici compiuti in questa comunità; leggere il presente, per scorgere quanto ci sta chiedendo nell’oggi di questa Chiesa rietina e così orientare il futuro e continuare a camminare sulle vie del Signore? Come rendere concreta e operosa la speranza di questa comunità? Lasciate che vi offra alcune piste pratiche che mi suggerisce il cuore in questa festa:
1) Risvegliare la fede battesimale dei figli di questa comunità che, come ci ha ricordato la memoria del battesimo con il gesto dell’aspersione e che tra poco rinnoveremo nelle promesse battesimali, sono le vere pietre vive, edificio spirituale, dirà Pietro nella sua Prima Lettera.
La nostra vita, dal sapore evangelico, unita a Cristo contribuisce a rendere santo il tempio evitando di profanarlo con atti di egoismo e chiusura. Oggi, dunque, mi piace vedere questa celebrazione anche come l’anniversario del vostro “battesimo” come comunità cristiana, del tempio che siamo noi!
Festeggiatelo come “cittadini” e “familiari” di Dio e, dunque, fratelli tra di noi. Anche la varietà degli stili che si intrecciano in questa cattedrale, e che ce ne fanno ricostruire la storia, ci suggeriscono come “le pietre” non siano tutte uguali, eppure contribuiscono a dare forma all’intero edificio che è la Chiesa e che si sorregge su Cristo, pietra angolare, e sulla fede dei nostri padri.
Lasciamo che lo zelo per la “Sua” casa possa divorare anche noi e ci faccia uscire dalla indifferenza che a volte coinvolge le nostre comunità cristiane, lasciando che il Signore possa fare spazio lì dove la sua casa è sporcata da gesti che non onorano la sua dimora, anche nelle nostre piccole realtà.
2) Curare, accompagnare, amare i giovani affinché possano appassionarsi a Gesù e al suo Vangelo. La vostra è una Chiesa “antica”; non lasciate che “invecchi” mai nella abitudine, nel lasciarsi trascinare o e nel curare semplicemente le ceneri. Vorrei rivolgermi direttamente a voi: cari giovani, lasciatevi affascinare dalla Parola di Gesù e sappiate informarne la vostra e altrui esistenza, certi che il Signore «non toglie nulla, e dona tutto», come disse Benedetto XVI rivolto a voi giovani. Di questo sono testimoni i nuovi Santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, canonizzati da Papa Leone XIV proprio la scorsa domenica. Siate giovani portatori sani di gioia, testimoni di speranza (come ci ha suggerito il canto d’ingresso), di pace a iniziare da questo territorio, dalla culla che vi ha generati; non rinchiusi in voi stessi o solamente delusi da quanto la società non sa offrirvi, ma aperti alla vita; originali e creativi nell’amare e nel donarvi, “non fotocopie”, come amava dire Carlo Acutis; portatori voi stessi, in prima persona, di vita sentendovi attori della vostra e altrui storia nella vostra terra, guidati dal soffio dello Spirito. Siate giovani che amano la Chiesa di Dio, che si manifesta in questa Chiesa rietina, perennemente madre e mai matrigna.
3) La preoccupazione della mancanza di uomini e donne che sappiano donarsi totalmente al Signore non deve trasformarsi in rassegnazione, ma deve essere l’occasione di reagire in maniera positiva chiedendo al Padre di suscitare non solo “tante” ma “sante” vocazioni. Una Chiesa capace non semplicemente di pregare per le vocazioni (alla famiglia cristiana, al sacerdozio ministeriale, alla vita religiosa) guardando ai figli degli altri e pregando per i figli del vicino, ma capace di generare in prima persona servitori di Dio e della Chiesa, educando generosamente alla vita consacrata già nelle vostre famiglie.
4) Sacerdoti, religiosi e religiose, consacrati che con il loro ministero, fondato sulla salda roccia che è Cristo e sulla sua Parola, sappiano trasmettere la gioia dell’appartenenza al Signore; siate capaci di gioire con chi gioisce, piangere con chi piange, portare conforto e consolazione lì dove si sperimenta arsura di amore e di carità, non conformati alla tendenza egoistica dei nostri tempi ma totalmente donati. Siate consacrati innamorati del Signore e che sappiano sempre tenere vivo questo amore attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola, la celebrazione dei sacramenti, l’unità con Cristo e tra di voi, le opere di carità.
Maria, alla quale questa cattedrale è dedicata e qui venerata anche col titolo di “Madonna del popolo”, che nelle litanie lauretane acclamiamo con i titoli di “tempio dello Spirito Santo” e “dimora consacrata a Dio”, insieme a Santa Barbara e a San Felice da Cantalice Patroni della diocesi, continui a benedire questa comunità diocesana e interceda per voi affinché diveniate sempre più «abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22).
Così sia.