Lettera di una lettrice a RietiLife. Eventuali repliche a [email protected]
Avete presente il film di Fantozzi quando salta sulla bicicletta non accorgendosi che manca il sellino? Ecco il risultato di quella scena è ben noto, dolore, tanto dolore!
Su per giù è quello che stanno provando i nostri professionisti sanitari, infermieri, tecnici di radiologia e OSS del Pronto Soccorso dello ospedale San Camillo De Lellis di Rieti.
Lo scrivente, medico di medicina d’urgenza, non può più esimersi dal denunziare la paradossale realtà che vivono i nostri “più stretti collaboratori”. Questi ragazzi si adoperano “attivamente” per la risoluzione dei problemi di salute di tutta la popolazione della Provincia di Rieti, essendo poi il De Lellis l’unico ospedale attivo in tutto il territorio.
I tecnici di radiologia, espletano un ruolo importantissimo. Con i loro esami, radiografici o di TAC, risultano essere fondamentali nello stabilire una diagnosi concreta nei confronti dei pazienti che si rivolgono al nostro servio d’urgenza. Nonostante la loro centralità nel percorso assistenziale, a questi ragazzi però non è stata riconosciuta l’indennità di Pronto Soccorso (con i relativi arretrati), a differenza di infermieri e OSS ascrivibili sempre al medesimo servizio. Amareggiati quindi, si sentono esclusi, nei diritti ma non nei doveri, da un processo naturale che li coinvolge quotidianamente come parte attiva del servizio di pronto intervento. Da qualche giorno nei loro occhi trapela rabbia dato che in tutte le altre realtà sanitarie regionali e non, i loro colleghi hanno ricevuto i dovuti adeguamenti di contratto.
Una beffa clamorosa questa aggravata per di più anche dal concomitante mancato indennizzo degli emolumenti riferibili alle indennità di sala operatoria, altro ambiente coperto H 24 da tali professionalità mentre prestano la propria opera negli ambienti di Pronto Soccorso.
Inoltre, assieme ai tecnici di radiologia, anche infermieri ed OSS vivono da circa due anni la paradossale situazione di dover affrontare le aumentate spese mensili necessarie al raggiungimento del proprio luogo di lavoro. Infatti, la possibilità a loro tolta di fare con regolarità turni da 12 ore, il tutto sostituito con turnazioni di 7 ore, ha portato il “personale sanitario tutto” a dover affrontare doppi viaggi, doppia esposizione a rischi derivanti dal tragitto su strada e doppie spese per usura e carburante necessario al funzionamento del proprio mezzo di trasporto.
C’è quindi da considerare, data la situazione, anche l’amplificazione degli aspetti negativi sia dal punto di vista organizzativo quanto gestionale dei pazienti in trattamento. A differenza di infermieri, OSS e tecnici radiologi, noi medici (e qui il paradosso) giriamo invece su turni di 12 ore, situazione questa che ci porta a dover comunicare e collaborare con 3 differenti gruppi di lavoro per ogni singola nostra turnazione. Tale situazione, crea inevitabilmente perdite di tempo, confusione e relativi rischi per i pazienti, in altre parole, possibilità di aumento delle malpractice.
Generando questo vero e proprio “caos turnistico”, l’azienda è andata inoltre a lesinare anche sul versamento quotidiano dei buoni pasto verso tali professionisti. Di fatti qui nella ASL di Rieti, a differenza di tante altre realtà regionali ed extra regionali, anche ottenere un buono pasto sembra essere ormai pura utopia.
Sindacati e Direzione, continuano a ribadire a questi ragazzi che fare turni da 12 ore è “illegale”, creando così inutili differenze e spaccature con noi area medica che invece, per assurdo e come me già detto, invece turniamo “solamente” sulle 12 ore. Anche se quanto dichiarato potrebbe andare a mio discapito, non capisco come si possa accettare nel 2025 una disparità del genere, non ci si può più esimere dal ricordare ai nostri vertici aziendali che la normativa sull’orario di lavoro non fa differenze tra categorie professionali.
Quanto detto è legittimato da più fonti giuridiche come l’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni), il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro) del comparto sanità, nonché la vigente normativa italiana rispetto l’orario di lavoro. Nulla vieta quindi di adattarsi a quella che sarebbe una visione “più moderna” della turnazione che invece, qui a Rieti, per le professioni sanitarie sembra ferma ai vecchi modelli degli anni ’80 e ’90.
L’odierna gestione ha contribuito in forma sostanziale allo instaurarsi di uno stato d’animo del personale molto basso, forte demotivazione, aumento dello stress lavorativo e mancanza di comunicazione tra professionisti, in altre parole mal gestione dei pazienti, tempi di attesa più lunghi e clima spesso umanamente insopportabile sul luogo di lavoro.
Quello che fa rabbia più di tutto, è la consapevolezza di avere dinanzi una problematica di facile risoluzione, basterebbe solo un po’ di buon senso da parte dei vertici aziendali per evitare “questo effetto plateau in senso negativo” dentro l’ospedale.
Quando professionisti seri, coscienziosi e con tanta voglia di fare ti chiedono giorni di malattia perché non sanno come pagarsi la benzina per arrivare a terminare i turni di lavoro del mese, credo che siamo dinanzi al perfetto esempio di declino della qualità lavorativa e dei servizi sanitari che poi rappresentiamo.
Oggettivamente non è più ammissibile una situazione del genere.
Per chi legge, secondo voi è normale andare avanti verso questa direzione?
Se al De Lellis manca qualcosa prima di tutto, quella è la serenità d’animo, spesso elemento imprescindibile per poter tutelare nelle cure i tanti pazienti che transitano nel Pronto Soccorso, così come una visione di valorizzazione del capitale umano, sempre più incline nell’andarsene piuttosto che rimanere.
Dinanzi a tutti gli “attacchi mediatici” che subiamo quotidianamente, è ora di dare anche una spiegazione. Le persone a casa debbono sapere cosa si nasconde veramente “dietro le quinte”.
A chi dice che la sanità reatina è migliorata, meglio che taccia, quello che ho descritto è solo la punta dell’iceberg!
A quei pazienti e a quei familiari per i quali non siamo stati in grado di dare piena soddisfazione, da medico chiedo scusa ma è pur vero che, almeno per una volta, è giusto togliersi la soddisfazione di spiegare le cose come realmente stanno.
Detto ciò spero che una segnalazione del genere possa essere l’inizio di un nuovo capitolo, quello che ci fornirebbe maggiori mezzi di lavoro e meno slogan propagandistici del “tutto va bene, tutto migliora”!
Per il rispetto e l’amore che provo per la mia professione.
R.B.