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Questa settimana si parla di maltempo: Il cielo ha pianto forte, troppo forte, su Rieti e su quell’Amatriciano che da quasi un decennio combatte con le ferite del terremoto e ora anche con quelle dell’acqua. Martedì scorso, un nubifragio violento, improvviso, ha messo in ginocchio il territorio. I danni non si sono fatti attendere. E nemmeno la rabbia.
Nel capoluogo, bastava essere nei pressi del parco di via Liberato Di Benedetto per capire la portata dell’evento: un albero crollato su un’auto in sosta che, per miracolo, non si è trasformato in tragedia. All’ospedale De Lellis, nei reparti di Cardiologia, l’acqua è entrata dai tetti, costringendo al trasferimento d’urgenza di una paziente. Scene che sembrano appartenere ad altri tempi, ma che invece continuano a ripetersi.
Eppure, un barlume di speranza c’è stato: il sottopasso ferroviario di via Velinia, da sempre simbolo delle inefficienze cittadine, stavolta ha retto. Un piccolo passo per i tecnici, un grande respiro per i cittadini. Ma è troppo poco. Perché se Rieti piange, Amatrice affoga. E non è solo un’immagine retorica. Cento casette allagate in meno di due ore, trenta centimetri d’acqua caduti con furia. Fango, detriti, dolore. E la verità che emerge, impietosa: quelle che dovevano essere sistemazioni provvisorie si stanno rivelando, dopo nove anni, strutture inadeguate e ormai permanenti. Il tempo passa, ma la ricostruzione resta un’ipotesi, non una realtà.
I centri commerciali “Il Corso” e “Il Triangolo”, cuore pulsante della socialità e dell’economia locale, sono finiti ancora una volta sott’acqua. Le nuove abitazioni ricostruite? Anch’esse allagate. Le stalle? Danneggiate. Le colture? Quasi compromesse. È un bollettino di guerra, e il fronte non è mai arretrato. Di fronte a questo scenario l’Associazione Commercianti ha lanciato un grido disperato, chiedendo – anzi, pretendendo – interventi urgenti e risolutivi. Comune, USR, Protezione Civile, Regione Lazio: ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità. Perché la pazienza, semplicemente, è finita.
Le promesse, poi, abbondano come le pozzanghere. Il nuovo ospedale di Amatrice, ad esempio, è diventato il simbolo dell’attesa eterna. Ogni anno sembra quello buono, e ogni anno il traguardo si allontana. Ora si parla di dicembre per il termine dei lavori e della prossima estate per l’apertura effettiva. Ma chi ci crede più?
E che dire del nuovo Istituto Alberghiero? La scuola che è stata e dovrebbe tornare ad essere eccellenza del territorio. Anche lì, solo promesse. La prima pietra fu posata tra i flash delle fotocamere, ma da allora poco o nulla si è mosso. Oggi, la Provincia di Rieti prova a prendere l’iniziativa pubblicando un bando per trovare strutture ricettive in grado di ospitare gli studenti. Un piccolo gesto concreto, forse l’unico tra tanti proclami.
La verità è che la scuola è il cuore pulsante della ricostruzione. Dove c’è una scuola viva, c’è una comunità che resiste. Dove c’è un Alberghiero funzionante, c’è futuro, lavoro, dignità. Ma se tutto resta sulla carta, allora il rischio è che anche l’ultima speranza vada via, insieme alle famiglie costrette a trasferirsi altrove per offrire un’opportunità ai propri figli.
È questo, forse, il danno più grave che ci lascia il maltempo: non solo quello che si vede, ma quello che scava dentro. La consapevolezza che, dopo nove anni, siamo ancora fermi. Che l’emergenza non è passata, che l’incertezza regna, che la gente del cratere vive in un limbo che ormai non ha più nulla di provvisorio.
È tempo di cambiare passo. Di agire. Di mantenere promesse. Di smettere di gestire emergenze e iniziare a costruire futuro. Perché questa terra ha già dato, ha già sofferto, e non merita più di dover lottare anche solo per restare in piedi sotto la pioggia.