Riceviamo e pubblichiamo una testimonianza diretta di una figlia che ha vissuto momenti drammatici accanto al padre ricoverato presso l’ospedale di Rieti. Una lettera che non vuole fare generalizzazioni, ma che denuncia un’esperienza dolorosa e invita a riflettere su come venga garantita la dignità e la cura dei pazienti più fragili
Caro Direttore,
ti chiedo la cortesia di pubblicare, quando possibile, questa mia lettera. Ti ringrazio come sempre e colgo l’occasione per augurarti Buona Pasqua.
Leggo molto spesso lettere di ringraziamento verso gli operatori sanitari di questo o quel reparto. Quello che scrivo è la mia esperienza personale, quella di una figlia che ha dovuto ricorrere alle cure del nostro ospedale per suo padre di 78 anni. Sono stati giorni di vero incubo.
Ricoverato per un’infezione al reparto di Medicina, al quarto piano, dopo svariati giorni in Pronto Soccorso, mio padre – malato di Parkinson – ha avuto uno shock tale da dissociarsi completamente. Non era più lui. È stato poi trasferito nel reparto di lunga degenza perché, nel frattempo, aveva contratto un’altra infezione, senza che nessuno ci avesse avvertiti.
Quando sono entrata nella stanza, sono rimasta scioccata: urlava aiuto, si era fatto del male graffiandosi il viso fino a sanguinare, si era strappato l’ago, e nessuno si era degnato di vedere cosa stesse accadendo. Ho dovuto minacciare di chiamare i carabinieri per ottenere una visita neurologica.
Non voglio aggiungere altri particolari, ancora più gravi, e voglio solo dimenticare questa brutta esperienza. Ma mi resta tanta rabbia per quanto accaduto. Penso a chi non ha la fortuna di avere figli o parenti accanto, e che sono lasciati soli, abbandonati al loro destino.
Oggi mio padre è tornato a casa, e ringrazio Dio per avermi dato la forza di proteggerlo.
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