Il 25 aprile nel ricordo di Cleonice Tomassetti partigiana reatina uccisa dai nazifascisti

Questo giorno che ricorda la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo dovrebbe essere per i reatini anche l’occasione per celebrare la memoria di una giovane donna, Cleonice Tomassetti, fucilata a 33 anni a Fondotoce di Verbania sulle sponde del Lago Maggiore, il 20 giugno del 1944, proprio quando la sua terra nativa, il Cicolano, tornava libera. Non dobbiamo dimenticare, non possiamo, il coraggio di questa giovane “partigiana nell’animo”, che non riuscì a unirsi ai partigiani come sognava, ma trovò la morte a soli 33 anni per mano dei nazifascisti, dopo essere stata catturata durante un imponente rastrellamento in atto contro i partigiani della Valgrande.

La giovane, che era originaria di Capradosso di Petrella Salto, dove era nata nel 1911 in una numerosa e povera famiglia contadina. Cleonice, il cui nome di origine greca ha il significato di gloriosa vittoria, ebbe una vita particolarmente travagliata. Dopo la morte della madre, venne abusata, sedicenne, dal padre. Scopertasi incinta preferì fuggire dal proprio paese e dal padre per rifugiarsi a Roma, presso la sorella maggiore. Il parto fu prematuro e il figlio ebbe vita solo per pochi giorni. Intanto si manteneva con il lavoro di cameriera; purtroppo, più di una volta, subì tentativi di abusi dai padroni di casa. Nel 1933 si trasferì a Milano, dove si adattò a svariati lavori: commessa, cameriera, sarta. Si unì con Mario Nobili, un assicuratore separato dalla moglie. Mario e Cleonice, detta Nice, frequentarono a Milano un piccolo gruppo di antifascisti.

Nel 1944 Nobili fu colpito dalla meningite e, ricoverato, morì in pochi giorni. La giovane rimase di nuovo sola, in una città che non le offriva molto. Conobbe i giovani antifascisti Sergio Ciribi e Giorgio Guerreschi e con loro salì in montagna in Valgrande per unirsi ai partigiani, che non raggiunse mai. Fu arrestata l’11 giugno del 1944 dai nazifascisti e percossa per giorni. Nonostante le torture fece coraggio agli sfortunati che condividevano quei tragici momenti di grande dolore, anche fisico, in balia di crudeli militari nazifascisti. Il partigiano e studioso della Resistenza, Nino Chiovini, scomparso nel 1991, dedicò alla giovane reatina nel 1981 il racconto “Classe III B. Cleonice Tomassetti Vita e morte”, che ricostruiva gli ultimi giorni di vita della nostra protagonista, la sola donna del gruppo di quarantatrè partigiani fucilati dai nazifascisti a Fondotoce di Verbania nel giugno 1944. Nel libro Chiovini racconta la storia di una donna di grande coraggio, dignità e fierezza, che non a caso tutti chiamavano Nice, vittoria.

“Non è stato facile” raccontò Chiovini “a tanti anni di distanza dall’eccidio, un evento di cui gli unici documenti conosciuti erano le storiche fotografie e il diario del dottor Liguori, ricostruire la figura, la vita nei suoi tratti essenziali, gli ultimi giorni, le ultime ore di Cleonice Tomassetti. E’ quanto ho tentato di fare con paziente lavoro, individuando le persone in grado di raccontare fedelmente, recuperando testimonianze, notizie, documenti, confrontandoli e connettendoli, con le personali osservazioni, come in un mosaico, nell’intento di restituire all’idealizzata figura di Cleonice Tomassetti la sua identità, cercando di svelare la sua dolente umanità e le sue insospettate doti. E nello stesso tempo mettere a fuoco la figura del ragazzo che divise con lei gli ultimi giorni di vita e la medesima morte”. L’attrice e scrittrice Maria Silvia Caffari ha dedicato alla giovane donna di Capradosso lo spettacolo teatrale “Cleonice” e ha curato un testo che racconta questa storia. Negli ultimi anni molti hanno rievocato la vicenda di questa giovane reatina.

Tra tutti il dottor Roberto Lorenzetti, già direttore dell’Archivio di Stato e il giornalista Aldo Cazzullo che hanno rievocato ricordato questa tragica storia di coraggio. Un testimone, il dottor Liguori, prigioniero come Cleonice dei tedeschi raccontò: “Notai che tra i partigiani vi era una donna, di statura media, di colorito bruno, sui venticinque anni. Anche a costei non furono risparmiati i maltrattamenti, anzi, starei per dire che la dose delle angherie sia stata nei suoi confronti maggiore. Mi parve che, quando arrivava il suo turno, il nerbo si abbassasse sulle sue spalle con maggior furore e più violenti fossero i calci che la raggiungevano da ogni parte. Eppure la coraggiosa donna non solo incassò ogni colpo, senza emettere un grido, ma, calma e serena, faceva coraggio agli altri giovani, malconci per quella furia bestiale. Poi si levò in piedi e con fare spontaneo, senza forzare il tono della voce, direi quasi con amorevolezza, rivolta ai compagni di sciagura, pronunciò queste testuali parole: “Su, coraggio, ragazzi, è giunto il plotone d’esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio morire da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi”.

Aveva appena finito di parlare che, infuriato, le fu addosso un soldato germanico, che doveva capire un poco d’italiano e che del senso delle parole pronunciate era stato messo al corrente da un fascista. Quale schifo il contegno servile verso i padroni tedeschi dei nostri militi! Non di tutti per fortuna, perché ne vidi più d’uno fremere di rabbia, osservando ciò che di orribile si compieva intorno a lui”. L’attore Neri Marcorè alla Festa del Primo Maggio 2011 a Roma, rievocando le pagine più belle della nostra storia, dal Risorgimento alla Resistenza, volle leggere dal palco le parole che Cleonice Tomassetti aveva rivolto a un milite fascista che la prendeva a schiaffi e la copriva di sputi: “se percuotendomi volete mortificare il mio corpo, è superfluo il farlo; esso è già annientato.

Se invece volete uccidere il mio spirito, vi dico che è opera vana: quello non lo domerete mai” poi, mentre veniva fucilata: “Viva l’Italia, viva la libertà per tutti!”. Tra i quarantatré fucilati di Fondotoce, c’era il giovane Carlo Suzzi che, benché ferito, riuscì miracolosamente a salvarsi fingendosi morto, anche con l’aiuto dalla gente del posto. La fucilazione dei partigiani voleva forse essere una vendetta per gli oltre quaranta fascisti del presidio locale catturati il 30 maggio (e non uccisi) dalla formazione partigiana “Valdossola”, al comando di Mario Muneghina. Il rastrellamento dei nazifascisti in Valgrande è una delle pagine più sanguinose della lotta partigiana nel nostro paese. Dopo l’eccidio, Fondotoce diventò uno dei luoghi simbolo della Resistenza, rafforzando il rapporto tra partigiani e popolazione e contribuendo a dare nuova linfa alla lotta per la Liberazione. La testimonianza di Carlo Suzzi sulla vicenda di Cleonice Tomassetti è importante: “Erano circa le sei di un pomeriggio afoso. Nuvole calde e soffocanti coprivano il cielo. Eravamo vicino all’acqua del canale che forma come una grande pozza, con intorno un canneto. Più lontano, a sinistra, la grande massa d’acqua del lago Maggiore e dall’altra, quasi in semicerchio, il Mottarone, Monte Orfano, Monte Acuto, la Valdossola, e più indietro ancora i contrafforti della Valgrande. Dodici tedeschi si schierarono in piedi e altri dodici in ginocchio. Erano armati di fucili Mauser. Fecero alzare i primi tre partigiani e li discostarono dal plotone. Fra essi c’era Cleonice. I tre si strinsero. Sentii gridare: “Viva l’Italia, viva la libertà per tutti”. Una giovane eroina moderna. Una donna che aveva combattuto per i suoi diritti e per la sua emancipazione, sfidando i suoi aguzzini e scegliendo poi di morire in nome della liberazione del nostro paese, per affermare il diritto alla dignità per tutti gli italiani.

(di Giuseppe Manzo)

Foto: RietiLife ©

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