UN LUNGO CAMMINO FATTO DI PICCOLI PASSI: UN REATINO VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA / IL DIARIO

Un reportage scritto, un diario con riflessioni e impressioni dell’inviato di Rieti Life, Matteo Carrozzoni, sull’antico e famoso Cammino di Santiago. Tutto accompagnato da un bel reportage fotografico. Buona lettura!

 di Matteo Carrozzoni

L’idea di affrontare un viaggio da solo mi ha sempre affascinato e nel contempo intimorito, facendomi provare grande stima per le persone da me conosciute che hanno trovato il coraggio di lanciarsi in una simile avventura, senza però mai decidermi a seguirne l’esempio. Ma la vita, compiendo larghi percorsi o strade estremamente dirette, prima o poi ti conduce a dover scegliere se seguire le proprie inclinazioni ed incontrare i propri sogni o rinunciare e imparare a convivere con la resa e la rinuncia. A seguito di alcuni eventi, quel giorno è arrivato anche per me e dopo studiato a lungo abbigliamento e accessori tecnici, tappe, altimetrie, usi e costumi, ho acquistato un biglietto aereo per la Galizia, deciso a percorrere gli ultimi 120 chilometri della Rotta Giacobea e conseguire la Compostela. Avendo solo una settimana di tempo disponibile, partire da Sarria, distante 117 chilometri di Cammino Francese da Santiago de Compostela è stata una scelta obbligata. Procuratemi le credenziali del pellegrino e preparato lo zaino, ho così raggiunto l’aeroporto di Fiumicino.

 

14/06/2015

Il mio viaggio in solitaria dura un’ora. In aeroporto conosco i “veterani” Walter e Lucia di Follonica, che questa volta faranno il Cammino Inglese insieme ad altri simpaticissimi amici, per poi convolare in matrimonio una volta raggiunta la cattedrale di Santiago. Hanno entusiasmo da vendere e mi invitano alla cerimonia. Sono loro a dirmi che c’è un ragazzo di Reggio Calabria solo che farà il cammino francese e poco dopo me lo presentano. Al gate conosco Teodoro “ragazzo” 47enne anche lui al suo primo cammino con credenziali da vicario per una persona che non può farlo. Arrivati a Lavacolla alle 21:30, con Teodoro “smezziamo” il taxi fino a Sarria con fermata a Melide per cenare con il famoso polpo a la gallega. Il viaggio in taxi ci preoccupa un po’ perché la strada da ripercorrere sembra veramente tanta. Dormiamo in un albergue gestito da un bergamasco, in cima alla strada principale di Sarria, che sembra aleggiare in un secolo passato. Domattina si comincia.

 

15/06/2015

Dopo 5 ore di sonno scarse io e Teodoro divoriamo il buffet della colazione, timbriamo le credenziali e ci mettiamo in cammino nell’alba brumosa. Dopo un paio di km lo saluto perché avverto che il mio ritmo è più rapido e perché il mio cammino è comunque in solitaria. Dopo un’oretta realizzo che finalmente sono lì a misurarmi con questa esperienza tanto attesa e mi godo una manciata di secondi di gioia pura. Le scarpe Saucony Excursion si rivelano un’ottima scelta e non avrò una vescica per tutto il cammino. Lo zaino è un po’ pesante, comunque macino i primi 10 km come un treno, le bacchette aiutano tantissimo. Il paesaggio è incantevole tra le mucche, i trattori e i tetti di ardesia di questa regione rurale. Non manca qualche grosso cane che si diverte a rincorrere i ciclisti tenendosi però alla larga dai bastoni dei pellegrini a piedi. Verso le 10:30 faccio “ricreazione” nei pressi di una chiesa romanica dell’11esimo secolo e conosco Michelangelo, Andrea e Carolina, tre ventenni spagnoli che insieme ad un gruppo di coetanei americani sono in cammino da un mese, partiti da San Jean Pied de Port, in Francia. Cono loro finisco la prima tappa a passo svelto fino a Portomarín. Alcuni dei loro amici si sfidano a correre con gli zaini nell’ultimo tratto in salita facendomi pesare enormemente di avere il doppio dei loro anni. Sistemato in un albergue grazioso e pulito insieme a loro. Dopo un’oretta ci raggiunge anche Teodoro, piuttosto provato. Ora solo riposo fino a cena, poi a letto presto. Fine prima tappa di 23 km.

 

16/06/2015

Partito da Portomarin alle 7:15, arrivato a Palas de Rei alle 12:15. Questi 25 km li ho fatti tutti da solo, parlando solamente per rispondere al “buen camino” degli altri pellegrini. Oggi lo zaino sembrava pesare per due, ma c’era un motivo e così doveva essere.

 

17/06/2015

Notte insonne, occhi sbarrati. Forse l’adrenalina della “sgroppata” di ieri. Ogni timido tentativo di prendere sonno viene stroncato dalla motosega palatale di Teodoro. Alle 5:30 sbrocco e mi alzo. Teodoro si sveglia e mi segue. Partiamo che è notte. Ci aspetta la tappa più lunga. Dopo circa 3 km ci raggiungono i ragazzi spagnoli insieme agli studenti americani e inizio a parlare con Michelangelo, spagnolo di padre genovese, conosciuto ieri. Seguo il loro ritmo sostenuto e dopo un po’ perdiamo Teodoro. Presto i ragazzi si fermano in un bar e io proseguo al ritmo. A circa 10 km dalla partenza mi fermo a guardare una chiesetta quasi millenaria e mi raggiunge un barbarossa con occhiali tartarugati presumibilmente irlandese. È Giovanni di Pordenone, neolaureato in viaggio da San Jean, unico superstite di un gruppo numeroso. Facciamo 5 km insieme fino a Melide a metà strada da Arzua e ci fermiamo a fare colazione. Sono le 9:15, un polpo piccante alla gallega, birra, caffè corretto alla grappa e liquore alle erbe. Usciamo barcollanti dopo 45 minuti, giusto in tempo per farci un selfie “nord, centro, sud” col sopraggiunto Teodoro il calabrese che si accomoda a tavola. Noi ripartiamo a ritmo sostenuto, il cammino è lungo ma pianeggiante ma è all’ultimo che iniziano le dorsali da valicare. Superata quella che sembrava l’ultima ci fermiamo in un bar a bere una pinta nel bicchiere ghiacciato sedendoci ma l’acido lattico mi frega. Sono praticamente paralizzato e mancano 3 km di salita, percorsi in lattacidosi arrancando testardamente e dolorosamente sui bastoncini come Enrico Toti. Fortunatamente la leggera ebbrezza ci dona buonumore e guadagnamo la meta , facendoci forza cantando, tra gli sguardi perplessi della gente. L’albergue di Arzua mi appare alle 14 come un miraggio, dopo 30 duri km. Sono al giro di boa. (ps. Teodoro è arrivato dopo un’ora e mezza dopo essersi fatto il bagno nel fiume. Mito).

 

18/06/2015

La prima tappa breve di soli 20 km doveva essere la più facile, come da copione è stata la più dura. Un’infiammazione acuta sopra il gluteo mi ha reso dolorosamente claudicante per 8 km rivelatisi un calvario. Evidentemente doveva essere anche così. Abeti e querce hanno lasciato il posto agli eucalipti dall’odore balsamico. Arrivo in albergue a O’Pedrouzo come se fosse un ospedale e il signor Aulin comincia a fare effetto dopo i fuochi. Faccio la doccia e raggiungo famelico il miglior ristorante del posto. Oggi non bado a spese. Zuppa tipica calda per rinfrancare lo stomaco, bisteccona con patate e birrona. Spesa totale 10 euro. Provo pena e vergogna per il “sistema Italia”. Oggi con tutti gli amici fatti nel cammino abbiamo preso l’albergue insieme e domani tutti insieme raggiungeremo Santiago. L’emozione c’è, soprattutto se penso a questi ragazzi partiti un mese fa da San Jean, che hanno affrontato qualcosa di veramente epico.

 

Ultima notte prima di arrivare a Santiago. Cosa rimane di questa avventura?

Sicuramente la conferma di quanto si dica, cioè che il cammino indicato dalla via lattea sia la metafora della vita. Le ansie, le paure, le aspettative, il giudizio altrui ci influenzano molto in quella che è la sfera della quotidianità. Poi si accetta la sfida e troppo spesso la nostra bassa autostima, il timore di fallire ci pervadono, finché non arriva il momento di compiere quel primo passo all’alba in una stradina nebbiosa di un paesino fuori dal mondo. Da lì il cammino sarà la casa, la meta, il motivo di vita, la gioia e il dolore da condividere di tutti i pellegrini. Ma affrontarlo è qualcosa di intimo e personale, da vivere con i propri pensieri ed il proprio modo di interpretarlo, finché col passare dei giorni e dei chilometri comincerà a delinearsi sempre più chiaro il suo significato e cioè che qualunque sia il tuo obiettivo, una volta che tu lo abbia deciso, devi solo mettere un piede davanti all’altro, compiere un passo e poi un altro per portarlo a termine. Ma anche se i passi da compiere saranno migliaia, lesti e cadenzati, lenti e trascinati, entusiasti o dolorosi, sarà sempre e solo mettendo un piede davanti all’altro che potrai coprire distanze che ritenevi impossibili. E poi ti ritroverai a fare strada con persone che il cammino ti pone a fianco e la fatica, il pragmatismo nel dosare le energie e la mente libera ti faranno ritrovare privo di quelle sovrastrutture attraverso le quali sei solito relazionarti.

A quel punto tutto sarà più vero ed immediato e ti ritroverai giorni più avanti sul letto di un albergue a poche ore dalla meta, circondato da persone pochi giorni prima sconosciute, che ti fanno sentire avvolto da un senso di sicurezza e fiducia che sa di famiglia. Il cammino è questo. Non è, o almeno non è solamente un esercizio spirituale, un percorso mestamente introspettivo ma un incredibile modo di ritrovare sé stessi in funzione degli altri, ai quali ti accomuna un fine più grande e fortemente desiderato per devozione, per sfida personale o per qualsiasi altro motivo che solo noi conosciamo.

Domani si arriva alla meta. Scorgere i campanili della cattedrale che ospita le spoglie dell’Apostolo sarà un’emozione, ricevere la Compostela e l’indulgenza plenaria un motivo di orgoglio e di gioia, ma quello che il cammino aveva da dirmi io l’ho capito già da oggi e domani sarà solo una splendida formalità. Ho percorso a piedi 117 km e torno a casa più ricco, consapevole e felice di quanto sia mai stato.

Ps. Ultreja e susteja non lo dice più nessuno dai tempi di Carlo Magno, ma è un peccato. Buen camino!

 

19/06/2015

La cosa strana di questo cammino è che ho dormito pochissimo e mai avuto sonno. Stamattina alle 4:30 ero sveglio come un bambino la mattina di Natale. In barba a tutti i programmi e accordi con i ragazzi, mi preparo al volo ed esco. Fuori è notte fonda e superati i lampioni di O’Pedrouzo devo accendere la torcia frontale e metterla in testa. Le frecce gialle mi indicano un sentiero nel bosco. Entrarci è inquietante ma in lontananza scorgo delle luci che si muovono. Accelero il passo e dopo qualche decina di minuti li raggiungo. Sono tutti giovani, alti e biondi, con le torce sulla testa che procedono nel bosco. L’immagine che appare mi trasporta nelle foreste dell’Eldar di tolkeniana memoria, mentre gli elfi silvani abbandonano la Terra di Mezzo per tornare a Valinor. Io non posso che essere un grasso hobbit. Sono studenti californiani partiti da San Jean che dopo un chilometro scarso in salita si fermano ad aspettare altri. Proseguo da solo nel bosco salendo la montagna. Il sole sorge dopo una mezz’ora. Vedo una croce con un nome inchiodata su un albero lungo il cammino; mentre il cervello corre a ruota libera mi riporta alla mente i volti degli amici che non ci sono più e la discesa procede con un nodo in gola. L’Aulin preso dopo colazione sembra non sortire alcun effetto e dopo aver percorso 5 o 6 km comincio a stare male e rallento. Gli elfi mi superano. Ai piedi del monte trovo il primo bar, sono le 7 e dopo la seconda colazione (da vero hobbit) prendo il secondo Aulin che mi anestetizza. C’è un’altra montagnola da scalare e sulla salita incontro Judith, graziosa ungherese partita in solitaria da San Jean. Percorriamo 6 o 7 km insieme chiacchierando piacevolmente. Dopo una lunga periferia arriviamo al centro di Santiago e dopo un po’ scorgo i campanili della cattedrale. Ho il sorriso stampato ma è la vista dei gruppi di ragazzi che piangono abbracciandosi a commuovermi. Evito le lacrime per non fare la figura del fesso con Judith, molto più contenuta. Mi godo il momento di gioia, poi ci salutiamo per raggiungere rispettivi alberghi. Cammino per la città con una gioia dentro che non ricordavo, forse simile a quella della laurea. La stanza d’albergo tutta per me mi appare come un lusso esagerato, ma mi autoconvinco rapidamente di essermela meritata ma finirò per dividerla col giovane Ignacio di Zaragoza, conosciuto ad Arzua e che fino a sabato sera sarà il mio “fratellino adottivo”. Doccia rapida poi in cattedrale per la messa celebrativa, ritrovarsi con gli altri e prendere finalmente la Compostela. Tutto è compiuto.

 

20/06/2015

E come sempre, dopo grandi entusiasmi e sensazioni di pienezza sopraggiungono tristezza e senso di vuoto, alimentati dagli abbracci e dagli addii. Mi mancherà non parlare più spanglish e non avere idea di dove si dormirà il giorno seguente, come mi mancherà quella strana sensazione di camminare per ore ed ore con uno zaino sulle spalle che è un po’ la tua casa. Mi mancherà la spontanea ed immediata cortesia della gente di Galizia, splendida terra celtica ma soprattutto mi mancheranno le fredde cañas di Estrella Galicia. Domani il matrimonio dei toscani in cattedrale, poi alle 21 salirò sul volo per Roma.

 

21/06/2015

Si riparte. Lo zaino è pronto con i souvenir comparati, come fosse stata una vacanza qualsiasi. La messa del pellegrino con il botafumeiro, dispensatore di incenso di 100 chili d’argento che fa il pendolo a velocità inaudita sulle teste dei fedeli e il matrimonio di Walter e Lucia sono l’emozionante corollario di una bellissima avventura. Regalo agli sposi un cd di musica del cammino perché possano averne un sentore anche a casa, visto che sono convinti sostenitori della teoria che il cammino dia assuefazione. Sorrido pensando che ho già in mente di tornare a settembre. Il sacerdote nell’omelia ha ricordato loro che il cammino non finisce ma comincia a Santiago e tutto quello che il cammino ha dato loro andrà riportato nella vita di tutti i giorni. Li saluto con un abbraccio augurandolo loro mentre nella mente e nel cuore lo auguro anche a me. Si torna alla vita di tutti i giorni, anche se ho il sentore che qualcosa di fondo non sarà più come prima. Foto: CARROZZONI ©

 

 

 

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