“L’EDITORIALE DI FORMAT”

NON SI DELEGA LA RIVOLUZIONE, LA SI FA di Stefania Santoprete.

Giorni intensi, giorni di camminate interrotte da dialoghi concitati, giorni tutti uguali sotto il fuoco di fila delle domande “Cosa fai tu? Per chi voti? Cosa pensi? Siamo allo sfascio!” e poi quell’esortazione, quel caricare la tua pistola a pallettoni “Mi raccomando in questo numero dateci giù duro, non siate morbidi”. La penna come un’arma… bastasse! Un’opinione come un incitamento alla rivolta…ma, non è così che funziona.  Non si delega la Rivoluzione, la si fa. Ed invece sembra che gli italiani stiano aspettando qualcuno che agisca per loro conto, decida per loro, dica loro cosa è bene e cosa è male, in ogni campo. Sembrano lasciarsi passare sopra carri armati come fossero zerbini. E quando parlo di Rivoluzione non intendo quella spranghe e mitra in mano (sebbene in passato sarebbe scoppiata per assai meno), parlo di una reazione sociale, culturale e di opinione, un’indignazione vera, reale, profonda che, se veramente presente, non avrebbe permesso di trovare in quel cartellone elettorale gli stessi partiti, e persino le stesse facce. Come se la classe politica avesse snobbato la sconfitta riportata in questi ultimi anni su due fronti fondamentali: la credibilità e l’affidabilità. Niente. Come nulla fosse ci riprova impunemente, sapete perché? Perché è opinione condivisa da molti studiosi che il panorama politico di un paese democratico sia anche l’espressione della società che rappresenta, incarnandone pregi e difetti. Ed allora “la realtà percepita dal cittadino comune che vive all’interno del sistema Italia è che se non giochi nella squadra dei furbi, fai parte di quella dei fessi.” Arrendiamoci all’idea che non ci sarà mai nessuna Rivoluzione di alcun genere, per una sorta di ‘sindrome di Stoccolma’ che ci unisce ai nostri stessi carnefici. Condanniamo in loro quegli stessi aspetti che, allo stesso tempo, la società contemporanea ritiene sinonimo di successo: ricchezza, potere, furbizia, avidità. “Ecco perché secondo Melman tutte le varie forme di protesta non sortiscono alcun effetto. ..Ecco come mai un capo di Stato può rimanere in carica malgrado comportamenti una volta considerati scandalosi o malgrado l’amministrazione disinvolta del denaro pubblico. L’esibizione di godimento di cui fa mostra lo accomuna al suo pubblico e ai suoi elettori che prima o poi, se lo vogliono, sono ammessi tutti a loro volta sulla scena mediatica.” (“Ombre Ipermoderne” – prof. Enrico Perilli). E allora se non può essere rivoluzione che sia ribellione, se non può essere ribellione che sia scelta ‘consapevole’. Ora più che mai occorre essere presenti e partecipi di quanto accade intorno. Sì, ma come? In molti dicono utilizzando bene la matita alle prossime elezioni o, addirittura, non utilizzandola affatto. Non tutti sanno però che c’è una precisa procedura da seguire affinché le schede bianche e nulle non vengano ripartite in un unico cumulo nel cosiddetto premio di maggioranza, testimoniando efficacemente la protesta: andare al seggio, farsi timbrare la tessera elettorale, facendosi mettere a verbale che non ci si sente rappresentati da nessun partito. Con ciò non voglio esortare al non voto, sono ancora convinta che oltre ad un diritto, votare restituisca al cittadino una responsabilità, un dovere nei confronti del proprio Paese a cui non si possa e non ci si debba sottrarre. Rispetto però, ed informo, chi non la pensa allo stesso modo.  Sebbene anch’io abbia l’impressione che la politica viaggi senza tener conto dei cambiamenti sociali, economici ed umani, senza udire il grido accorato che giunge dalle famiglie, dai lavoratori, dagli imprenditori che oggi più che mai hanno bisogno di risposte concrete ed immediate. Mettere le toppe è indispensabile, lo capisco, ma contemporaneamente occorre imbastire nuovi modelli per non ingessare il tutto.  Foto: Format © 23 Gennaio 2013

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