INDANGINE CONGIUNTURALE DI FEDERLAZIO

Pubblichiamo una nota del Presidente di Federlazio Carmine Rinaldi.

Da qualche tempo a questa parte riesce difficile commentare la nostra indagine congiunturale senza farsi prendere dallo sconforto per il quadro tracciato dalle risposte del nostro campione di imprese. Nell’indagine scorsa avevamo usato toni assai preoccupati nel commentare lo stato di crisi che allora emergeva dall’indagine. Ebbene, oggi a quella crisi possiamo dare un nome: recessione. Certo, gli esperti ci dicono che per poter parlare tecnicamente di recessione occorre registrare una riduzione del PIL per due trimestri consecutivi. Tuttavia, non v’è alcun dubbio che in riferimento alla situazione odierna si possa parlare di una sostanziale recessione. Non ci sono altre definizioni, infatti, di fronte ad una riduzione del tasso di crescita del PIL, pari allo 0,2%, registrata dall’Istat nel 3° trimestre del 2011 (ultimo dato disponibile), che si accompagna anche alla sopraggiunta stima al ribasso, fatta sempre dall’Istat, sia del 1° che del 2° trimestre. Se poi guardiamo al Lazio, vediamo che le stime (unici dati al momento disponibili) del Pil regionale indicano per il 2011 una flessione dall’1,1% del 2010 allo 0,7% del 2011 e addirittura una decrescita (- 0,5%) per il 2012. Pertanto, la situazione che prende forma oggi con la nostra rilevazione sulle imprese può essere definita in ulteriore aggravamento rispetto a quella del semestre precedente, che già si era presentata come una delle peggiori degli ultimi anni. Anche le previsioni, che di solito esprimono in qualche misura anche una speranza, sul fronte degli ordini, del fatturato e della produzione, sono decisamente negative. Le Pmi sembrano trovarsi in uno stato quasi di “prostrazione”, a causa dell’effetto combinato di un lungo, estenuante e tutt’altro che concluso calo della domanda, da un lato, e di misure restrittive, derivanti dalle manovre governative che hanno già cominciato a far sentire i loro effetti, dall’altro. Tutto questo mentre la crescita è invece ancora di là da venire, anzi per la verità non è neanche iniziata. In questa situazione, come è a tutti evidente di estrema difficoltà economica, oggi si aggiunge un ulteriore elemento di drammaticità che “arricchisce” il quadro e che non può essere più ignorato. Stiamo parlando degli ormai tragicamente numerosi casi di suicidio da parte di imprenditori che stanno contrassegnando quest’ultimo scorcio di crisi. Non possiamo abituarci all’idea che gli imprenditori siano indotti a togliersi la vita per l’impossibilità di far fronte ai propri impegni finanziari con dipendenti, fornitori e banche. E tanto meno possiamo abituarci all’idea che tale impossibilità sia da imputare in buona parte ad inadempienze da parte dello Stato e della P.A. Può un imprenditore, che già ha il suo ben da fare per trovare il mercato alle sue produzioni o le risorse per effettuare investimenti nella sua attività, farsi anche carico delle inadempienze, delle inefficienze, della cattiva gestione della P.A.? Noi crediamo fermamente di no e lo vogliamo anche gridare con forza afferma il Presidente Rinaldi. Né le cose migliorano quando si tratta di transazioni tra privati. Secondo un recente studio dell’Osservatorio Cerved, i tempi di pagamento si sono allungati a dismisura anche tra privati e, ovviamente, ancora una volta sono le Pmi a risentirne di più. Noi crediamo dunque che qui occorrano iniziative forti, coraggiose, anche in discontinuità con il passato se serve, proprio per poter mettere un freno, e possibilmente invertire una deriva che non sembra altrimenti lasciare scampo. E allora, a questo proposito, noi ci sentiamo di riaffermare la necessità che venga valutata attentamente la praticabilità della strada che può portare a realizzare una compensazione tra crediti e debiti, ovvero tra ciò che un’impresa deve incassare dallo Stato o da altra amministrazione e le tasse o i contributi che essa deve pagare. Il precedente Governo ha sempre affermato che vi fossero delle difficoltà quasi insormontabili a rendere questo principio applicabile. Noi crediamo invece che le difficoltà tecniche possano e debbano essere superate; basta solo che ci si convinca dell’opportunità di farlo. E una soluzione di questo tipo potrebbe veramente ridare da subito alle imprese un po’ di fiato, quel fiato che la stagnazione del mercato non è al momento in grado di produrre. Del resto su questo sono state avanzate dal Ministero dello Sviluppo economico delle ipotesi. Alcune francamente un po’ bizzarre – quale quella, ad esempio, che lo Stato possa pagare i suoi debiti con le imprese utilizzando titoli di stato. Capite bene, continua Rinaldi, che questo significa pagare un debito con un altro debito, spostando nuovamente il problema dalle spalle dello Stato a quello delle imprese. A meno che non si dica che quegli stessi titoli di stato le imprese possano utilizzarli a loro volta per pagare operai, fornitori e scontandoli in banca. Cosa che francamente ci parrebbe poco praticabile. Altre proposte invece paiono più ragionevoli, quale quella di coinvolgere le banche e la Cassa Depositi e Prestiti per consentire alle imprese di scontare i propri crediti. Un’operazione che naturalmente non sarebbe a costo zero per i creditori, ma su cui ciononostante si potrebbe ragionare. In attesa di ciò, tuttavia, le amministrazioni locali, e la Regione in primis, intanto possono fare un grande lavoro, a partire dall’immediato, come richiede una situazione di estrema urgenza quale quella attuale, per eliminare oneri burocratici inutili. Inoltre bisogna che la P.A. ridiventi soggetto di domanda, così da rimettere in moto il circuito dell’economia. Questo può avvenire avviando infrastrutture, opere, servizi, che però oggi, non potendo più essere finanziati in debito, devono trovare un canale diverso, che non può che essere il project financing. Il quale, da un lato, consentirebbe di alleggerire l’onere finanziario a carico dello Stato e, dall’altro, darebbe alle imprese l’opportunità di fare investimenti e occupazione. Ma anche sul versante delle imprese sono richiesti cambiamenti, ovviamente. Noi tutti siamo chiamati a modificare la nostra mentalità, abbandonando gli aspetti più tradizionali per cominciare ad adottare comportamenti più inspirati al concetto di rete, di filiera, di collaborazione con altri soggetti imprenditoriali. Oggi noi abbiamo di fronte una realtà che tende a premiare l’attitudine a lavorare insieme, a fare progetti integrati, ad inserirsi sulle reti, a fare sistema. Quanto più noi e le nostre imprese sapremo fare questo, tanto più potremo veder crescere le probabilità di presidiare, e possibilmente allargare, i nostri mercati. Viceversa, quanto più permarremo in una condizione di sostanziale individualismo e autoreferenzialità, tanto più saremo fatalmente spinti verso i margini del mercato. E’ poi anche importante che si lavori – imprenditori e istituzioni, ciascuno per la propria parte – per far nascere nuove aziende, incentrate sulle nuove generazioni, sui nuovi saperi, che siano capaci di relazionarsi con il contesto globale, con le tecnologie innovative e  con i nuovi linguaggi culturali. Abbiamo un bisogno profondo, strategico di ampliare e rinnovare il nostro tessuto imprenditoriale. Cosi come si dovrà spingere enormemente sull’internazionalizzazione. In considerazione dello stato di recessione nel quale si trova il nostro paese e della strutturale debolezza del nostro mercato interno, noi dobbiamo riuscire a penetrare in nuovi mercati. Per questo noi come associazione ci impegneremo molto su questo versante e ci aspettiamo che la Regione faccia altrettanto destinando risorse congrue agli strumenti legislativi esistenti e alla legge 5/2008 sull’internazionalizzazione in primo luogo. E’ evidente che il rilancio e la crescita della nostra economia richiedono una tastiera variegata e integrata di interventi, alcuni di breve, altri di medio e altri ancora di lungo periodo. Quelli che abbiamo appena elencato, dunque non sono gli unici, ma sono di certo i più urgenti, quelli senza i quali non potrà innescarsi alcun circuito di crescita che voglia avere al centro la Pmi. Certo in tutto questo discorso la Politica – nazionale e regionale – non può essere assente. Ad essa competono alcuni compiti ed è bene che questi compiti siano svolti nel migliore dei modi, rapidamente, eticamente e con senso di responsabilità. Ma la Politica non può fare tutto e noi non dobbiamo troppo “appoggiarci” ad essa. Noi imprenditori dobbiamo rimboccarci le maniche, impegnarci di più e meglio, introdurre nelle nostre aziende innovazioni produttive, di processo, organizzative, ma anche e soprattutto culturali. Dobbiamo coltivare di più il gusto del rischio e della sperimentazione. Dobbiamo insomma preferire l’esplorazione di nuovi territori alla relativa sicurezza del già noto e del consolidato. Infine,  se sapremo fare tutto questo e se riusciremo a farlo bene, allora probabilmente sarà la Politica stessa a cercare di mettersi al passo con il mondo produttivo e a far emergere al suo interno le forze più funzionali a questo sforzo. Se invece non riusciremo a farlo, allora la Politica farà nuovamente valere il suo ruolo di dominus sostanziale dei processi economici e il sistema delle imprese continuerà ad “inseguirla”, aspettandosi inutilmente ciò che essa non potrà dare. Nella foto il presidente Carmine Rinaldi insieme al direttore Antonio Zanetti. Foto: Gianluca VANNICELLI/Agenzia PRIMO PIANO © 2 Febbraio 2012

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