Vent’anni senza Lucio Battisti: con la sua musica il mito è immortale

Il mito è incancellabile, indistruttibile come quella sua statua nei Giardini di Marzo, come quella sua voce, ieri al centro di una critica spietata e oggi anima delle più grandi canzoni del panorama musicale italiano.

Sono passati venti anni dalla morte di Lucio Battisti. Era il 9 settembre 1998 quando si spegneva uno dei più grandi artisti dell’epoca moderna. Lontano dalle scene (e anche dalle copertine dei suoi stessi album) da tempo, Battisti pur lontano da giornali e tv continuava ad emozionare. E lo fa tuttora, anche se è difficile trovare la sua musica online (a tutt’oggi le sue opere non sono su Spotify): l’eco della sua arte è più forte di tutto, tanto da penetrare ancora i gusti musicali delle giovanissime generazioni, pur tentate dalla musica trap, hip hop o elettronica.

Chissà cosa penserebbe oggi di questi nuovi generi musicali, lui che si era fatto molto influenzare dalla musica e dal sound estero, contaminazione che gli ha permesso di sperimentare e proporre qualcosa di nuovo, in maniera vincente.

Rieti e soprattutto la sua Poggio Bustone non lo dimenticano. Ieri proprio nella città natale di Battisti, concerto di Adriano Pappalardo, suo grande amico. I media, anche non di settore, intanto, lo celebrano ancora, tratteggiando quell’aura di mistero che prima con la sua lontanza dalle scene e poi con la sua morte, si è accesa sulla sua figura e sulla sua musica.

In venti anni non è mai mancato il ricordo di Mogol, che lo raffigurava come attaccato alla sua terra (leggi); non si è, poi, mai perso quel tratto di leggenda metropolitana legata al suo paese natio, come quel concerto che richiamò così tante persone a Poggio Bustone (leggi).

Ossessionato dal voler essere giudicato per la sua arte e non per la sua vita privata, ha lasciato un’eredità enorme, eccezionale, intensa. Di cui Rieti e la sua Poggio Bustone sono fiere.

Foto: RietiLife ©

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