L’editoriale di Format – “Che brutto momento!”

Su RietiLife l’editoriale di Format a firma di Maurizio Festuccia.

 

Sarà che il mio lavoro, volente o nolente, mi porta ogni giorno dentro decine di realtà commerciali diverse della mia città, ma in ognuna di queste, ogni volta,  non sento che la stessa litania, lo stesso sconforto, lo stesso lamento, quasi ovunque una depressione copia-incolla che pare stampata più negli occhi e nel cuore della gente che dentro i loro portafogli. L’aver scelto di non piegarsi al ‘postofisso’ sta costando caro, molto caro, a coloro che hanno deciso di votarsi al commercio, alla piccola o media impresa, al rimboccarsi le maniche ogni giorno per cercare di far valere le proprie capacità, la propria professionalità, il proprio modo di imporsi sul mercato, rischiando sempre in proprio ed inventandosi continuamente la propria vita. Ora, chi ha abbracciato questa fede anni fa subisce in maniera maggiormente oppressiva questo stato di cose, chi lo ha invece fatto da poco tempo, mi verrebbe da dire che è da annoverare tra i più impavidi Don Chisciotte 2.0 oppure tra gli incoscienti più incalliti che possano esistere. Lavorare in proprio, nell’ambito delle rispettive competenze, sorretti da un’estrema passione per quel che si fa, è sempre il modo migliore di coniugare doveri e piaceri di una attività che possa permetterti una vita dignitosa e serena. Ma quando tutto questo sembra non basti più allora subentra un profondo stato di impotenza, lo stesso che ti porta via il sorriso e con esso la bendisposizione verso tutto e verso tutti. Ci si imbrutisce, si inaridisce fino ad appassire, fino a seccare, fino a morire. E questo non è giusto, quantomeno per il rispetto che si deve a chi ha avuto il coraggio di credere in se stessi e di addentare la realtà nel modo più diretto, facendo leva solo sulle proprie forze, economiche e sentimentali. Da che si sarebbe dovuto fare un monumento a tutti coloro i quali, con le sole proprie energie, risultavano essere la forza vitale dell’economia nazionale, mandavano avanti il Paese come tante indomite formichine, ora sembra che la loro sfida debba essere repressa in ogni modo.

Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Una volta anch’io ero un convinto assertore della prima tesi, oggi mi torna difficile poterlo ancora solo pensare. Destra, sinistra, centro: sembrano tutti burattinai, tutti capaci solo di creare confusione ed allarmismo, tutti bravi solo a trovare nella politica il miglior modo per uscire da questa melma e non quello che ci permetta di uscirne. Sindacati, associazioni di categoria, consorzi, tutte belle istituzioni che ora sembra non siano più capaci di difendere chi li ha sempre sostenuti e chi, comunque, ancora li tiene in vita pagandoli. C’è chi dice, addirittura auspica, di essere vicini ad una rivoluzione civile: questo non avverrà, non potrà avvenire, siamo troppo codardi ed ancora troppo fragili perché accada. Eppure ci vorrebbe qualcosa di forte, di una scossa popolare, molto ma molto più elevata del 6.5 di recente memoria amatriciana. Il terremoto dovrebbe registrarsi per le strade, ad epicentro Italia e non a chilometri sottoterra. Ma, del resto, abbiamo vissuto bei momenti nel corso degli anni andati, chi ce lo fa fare di ributtarci in mezzo alla via a far casino in difesa dei nostri diritti? E intanto continuiamo ad annaspare, a far finta di andare avanti mentre continuiamo inesorabilmente a tornare indietro, spesso senza nemmeno accorgercene. Ormai si fa sempre più fatica ad onorare tutta una serie interminabile di spese e costi che a fine mese sono più violenti di una mazzata sulla testa che ti piega, ti curva verso il basso sempre più pronto ad offrire la parte più nobile di te al vento, e non solo ad esso.

Chi ha osato sfidare l’impiego statale, il comodo e tranquillo “postofisso”, puntando esclusivamente sulle proprie forze, deve essere vessato, messo alla gogna, bastonato. Credetemi, è veramente desolante avere a che fare ogni giorno con persone che hanno smarrito del tutto il sorriso, la fiducia, quasi la propria dignità.

E tra due giorni è Natale: che tristezza!

Foto: FORMAT ©

 

 

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