MONTANELLI E LA FEDE: “IO, STUDENTE AL VARRONE DI RIETI CON PADRE MARELLA COME PROF” / IL LIBRO

(da corriere.it, di Giancarlo Mazzuca, autore del libro “Indro Montanelli- Uno straniero in patria”) È un giorno di nebbia a Bologna. Uno di quei giorni in cui il gelo penetra nelle ossa e ti senti solo. Montanelli è nel capoluogo emiliano per raccontare la città che cambia sul «Corriere», il suo primo «Corriere». Quasi per vincere la malinconia che lo circonda, il Vecchio decide di compiere un giro nel centro, sotto i portici, con tutte quelle luci e i negozi di tortellini e salumi che fanno venire l’acquolina in bocca

anche a un eterno inappetente come lui. A un passo dall’ingresso di fronte a Tamburini, una specie di boutique della mortadella, a pochi metri dall’atrio di un cinema chiuso ormai da anni, Cilindro vede un omino rattrappito e piegato, un fraticello, seduto sopra un minuscolo sgabello che, con la mano tesa, chiede l’elemosina. C’è uno stridente contrasto tra la magra figura di quel monaco, con la barba incolta e il saio bisunto e l’abbondanza straripante di quella vetrina piena di ogni ben di Dio. Il Direttore diceva di essere un laico impenitente, ma aveva anche un cuore grande così (i soldi non gli sono mai interessati, a differenza di altri giornalisti) e dalla tasca del cappotto estrasse un po’ di monete che mise nel cappello appoggiato sulle ginocchia di quel poveretto. Poi si allontanò ma, improvvisamente, ebbe un lampo: quel fraticello era stato il suo professore di filosofia, tanti anni prima, al liceo di Rieti del preside Sestilio, suo padre. Tornò indietro e abbracciò il vecchietto in saio, urlando «Padre Marella!».

Alla morte del religioso, scrisse: «Ho avuto come professore di filosofia un santo. sì, un santo. Quando insegnava a me era un laico. Poi morì sua madre e, poco dopo, prese i voti e divenne don Marella. A Bologna lo conoscono tutti, ma non solo lì. Lo si vedeva per le strade a mendicare, completamente dedicato alla sua missione. Mi insegnò una cosa: a vivere per gli altri e a prendere questa vita come un passaggio. Insegnamento che peraltro io seguii. In un certo senso oggi lo invidio: è morto ignaro di se stesso, ignaro di essere santo. È morto ignoto a sé e agli altri. Un milite ignoto della Fede». In queste parole c’è tutta la sofferenza di un Montanelli assolutamente agnostico che, però, non ha mai cancellato dalla mente il grande mistero della Fede, provando anche una certa invidia per tutti coloro che credevano, a cominciare da sua madre Maddalena «che aveva un grandissimo dono che io non ho». Certo, quel dono non l’ha mai avuto, ma l’ha sempre cercato, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Ai tempi della «Voce», volle conoscere Ersilio Tonini, ottimo prete e grande comunicatore. Il monsignore piacentino era, allora, arcivescovo di Ravenna: tra il sottoscritto, di Forlì, e il romagnolo ad honorem (Ersilio) c’era già un buon feeling e Indro insistette tanto per convincere il vescovo a scrivere commenti sulle colonne della «Voce». Quella collaborazione portò fortuna al religioso perché, pochi mesi dopo, Giovanni Paolo II lo volle principe della Chiesa.

Quando il Concistoro rese noti i nomi dei nuovi cardinali, Tonini scrisse per noi una riflessione, che Montanelli volle pubblicare in prima pagina. Bussai alla porta del Direttore per fargli approvare la bozza del titolo che era: Da prete a cardinale. Senza dire una parola, Cilindro cancellò le mie due righe e scrisse: Da cardinale a prete. Aveva compreso la grandissima umiltà di «don Ersilio», che non mancava mai di ricordare le sue modeste origini, nato com’era in una famiglia di poveri contadini della campagna piacentina. All’apparenza, la Fede li divideva, ma avevano, ugualmente, molti punti in comune, a cominciare dalla venerazione che entrambi nutrivano per le loro madri, pur così diverse tra loro anche nell’estrazione sociale. Il Direttore è stato sempre un grande perfezionista che andava direttamente alla fonte. Non potendo farlo con Dio, si «accontentò» di vedere un cardinale, Tonini appunto, mentre, qualche anno prima, nel 1986, aveva incontrato anche il Papa.

Al toscanaccio, miscredente finché si vuole, piaceva molto Wojtyla, anche se, al momento della sua elezione, lo confuse con un cardinale africano. Riuscì ad andare a cena con il Pontefice assieme al portavoce spagnolo Joaquín Navarro-Valls e al segretario del Papa, monsignor Dziwisz, polacco pure lui. Rispetto agli incontri con Tonini a casa mia, la situazione era un po’ cambiata: il Vecchio inappetente si era sentito in colpa d’ingordigia di fronte a Giovanni Paolo che aveva messo sotto i denti solo un pezzetto di tonno, una sottile fetta di mozzarella e una mela. Quando si alzarono da tavola, il Papa accompagnò l’ospite lungo il corridoio e, davanti alla statua della Madonna, volle pregare per la madre di Indro «che era molto devota» e pure il laico Montanelli s’inginocchiò assieme al vicario di Cristo. Indro cercò d’inginocchiarsi anche quando, qualche secondo dopo, si congedò, ma Giovanni Paolo glielo impedì, serrandogli il polso e abbracciandolo due volte. Padre Marella, Giovanni Paolo II, Ersilio Tonini: Montanelli ha avuto fortuna nel suo cammino verso la Fede. Avranno fatto il miracolo? È certo comunque che il Papa polacco fece un grande regalo all’anarchico di Fucecchio con quella preghiera rivolta a sua madre davanti alla statua della Madonna.
Foto: dal web ©

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