KORAC, BRUNAMONTI: “RIETI VINSE IN EUROPA, IL SOGNO DIVENTÒ REALTÀ”

“35 anni fa…Rieti..piccola città di provincia.. vinceva una coppa internazionale nel basket battendo città importanti in Europa…i sogni possono diventare realtà!”. Così Roberto Brunamonti su facebook. Trentacinque anni. Tanti ne sono passati dal 26 marzo 1980, probabilmente il giorno più importante della storia sportiva reatina. Quella sera, a Liegi, in Belgio, la Sebastiani di Willie Sojourner, Lee Johnson e Roberto Brunamonti, guidata in panchina da Elio Pentassuglia, conquistò la Coppa Korac. L’unico trofeo continentale mai vinto da una squadra reatina. Quella Arrigoni, del presidente Renato Milardi e del gm Italo Di Fazi, fece innamorare una città intera, incollata alle radioline per seguire il risultato della finalissima contro il Cibona Zagabria (76-71), un anno dopo la sconfitta – sempre in finale – a Belgrado contro il Partizan. Grande folla per i festeggiamenti in piazza del Comune, con Sojourner che si affacciò dal Municipio in compagnia dell’allora sindaco Ettore Saletti e alzò al cielo il trofeo. Il racconto di quella storica serata è contenuto nel sito internet che ripercorre la gloriosa vicenda sportiva della Sebastiani, Basketrieti.com, curato dalla memoria storica Luigi Ricci.

Per accedere alla finale di Coppa Korac, l’Arrigoni dovette superare in una rocambolesca semifinale la Jugoplastika Spalato.
All’andata, a Rieti, la Sebastiani vinse di 11 punti e al ritorno si trovò avanti anche di 9 (totale +20). Gli slavi però riuscirono a rimontare, grazie pure alla complicità degli ufficiali di campo. Cose che spesso succedevano a quei tempi quando si giocava nei paesi dell’est Europa. Infatti, a 5 secondi dalla fine della gara, Rieti perdeva di 11 punti ma era in contropiede e poteva andare a –9 e, dunque, qualificarsi per la finale. Però a quel punto improvvisamente suonò la sirena che interruppe il gioco. La partita era finita e l’Arrigoni rimase con un inutile pallone in mano. Il punteggio complessivo era di perfetta parità e fu necessario disputare un supplementare. Rieti resistette agli assalti degli adriatici, anche perché l’arbitro Kotleba compensò l’ingiustizia subita dall’Arrigoni, che riuscì a perdere di soli 7 punti (104-97) qualificandosi per la seconda finale consecutiva di coppa Korac da disputarsi il 26 Marzo al Boule d’Or di Liegi, in Belgio.
L’avversaria di turno era il Cibona Zagabria, già eliminato l’anno precedente nei quarti di finale. Tra gli slavi spiccavano il regista Aza Petrovic, il pivot della nazionale Andro Knego e l’ala Ivo Nakic. Sulla panchina c’era Mirko Novosel, più volte alla guida della nazionale. Il match si svolse la settimana successiva all’eliminazione dai quarti di finale dei playoff ad opera della Gabetti Cantù e una sconfitta col Cibona avrebbe rischiato di trasformare una comunque splendida stagione in una vera e propria Waterloo, storica cittadina poco lontana da Liegi.
50 coraggiosi partirono da Rieti per il Belgio in autobus. Altri ancora vennero in auto. Un solo aggettivo per loro: eroici. A questi vanno sommati i 44 viaggiatori (giornalisti, dirigenti e amici) nel charter dell’Arrigoni.
Il volo Roma–Bruxelles fu tragicomico. Il tempo era molto brutto sulle Alpi, c’era una forte perturbazione in atto e per una buona mezz’ora in aria si ballò assai. I passeggeri, ammutoliti, erano incollati ai sedili. Tutti tranne uno. Chi? Ovviamente Zio Willie il quale – per esorcizzare la paura e la tensione provocate dal maltempo e dai vuoti d’aria – nonostante l’ordine di allacciare le cinture di sicurezza si alzava di continuo, ballava lungo il corridoio dell’aereo, faceva scherzi a tutti i passeggeri ma, soprattutto, si dedicava al suo hobby preferito: corteggiava spietatamente le hostess, le quali dovettero sudare ben più di sette camicie per tenerlo a freno. In questa maniera però il volo proseguì al meglio.
Ma non finì lì. Arrivati a Liegi in albergo, l’Holiday Inn, dopo cena Pentassuglia ordinò categoricamente: «Alle 22 tutti in camera». Sojourner decise di andare prima a farsi una passeggiata e sparì. Nessuno sapeva dov’era. Riapparve tranquillo a notte fonda. Si scoprì dopo che Willie, cammin facendo, si era trovato nel bel mezzo del cosiddetto Viale dell’Amore di Liegi per cui gli era sembrato assai scortese non fare una visita a quelle simpatiche signorine che lo salutavano dai balconi o da dietro le vetrine!
Il match si giocò di sera ma questa volta il palinsesto della Rai, che comunque registrò la gara, non coprì l’incontro, né in diretta, né in differita. In compenso da Rieti era partita la troupe di Tele Radio Sabina 2000 per registrare il match per la telecronaca di Zeno Fioritoni.
«La finale di Liegi – racconta Massimo Cavoli, giornalista de Il Messaggero, inviato all’epoca a Liegi dal Paese Sera – fu letteralmente ignorata dai media. Infatti non solo mancò la consueta copertura televisiva da parte della Rai ma per quanto riguarda la stampa nazionale, a parte Mario Arceri del Corriere dello Sport ed Enrico Campana della Gazzetta dello Sport, l’unico altro inviato fu il sottoscritto grazie all’interessamento di Mimmo De Grandis, direttore di Paese Sera, molto affezionato alla nostra città, dove aveva giocato da mediano nel Rieti Calcio negli anni ‘60, e che va elogiato per la sua lungimiranza. Deve aver pesato molto pure il fatto che l’Arrigoni non era uno squadrone del nord e che l’anno precedente la stessa formazione italiana aveva perduto la finale. Comunque i media non riservarono all’avvenimento la copertura dovuta per cui sono felice di aver visto e raccontato un evento storico per Rieti».
Come capitava spesso a quei tempi, l’organizzazione delle finali veniva assegnata principalmente per motivi di geopolitica, senza tenere in alcun conto le esigenze degli addetti ai lavori, per cui la partita si disputò in un impianto poco idoneo alla pallacanestro: il campo, infatti, non era in parquet e sul fondo c’erano disegnate le linee di tutti gli sport indoor praticabili sulla faccia della terra, tanto da rendere difficile intuire i limiti del campo da basket.
Da Zagabria arrivarono pochi tifosi. In compenso il centinaio di eroici reatini presenti era spalleggiato da un bel gruppo di pittoreschi emigranti che non avevano la minima idea di cosa fosse il basket ma che, per amore della patria lontana, avrebbero tifato anche se si fosse trattato di una sfida a tresette. Intanto tutta Rieti era incollata sulla lunghezza d’onda di Tele Radio Sabina 2000 per ascoltare la radiocronaca di Giuliano Rossi.
Il contenuto tecnico della finale non fu elevato. Le squadre erano nervose e sbagliavano molto. Sojourner non disputò una bella gara: in difesa era sempre presente, ma in attacco non fece la differenza come al solito. Gli altri non furono da meno, da una parte e dall’altra. Su tutti però emerse un Johnson mostruoso, anche se mai entrato nelle simpatie di Pentassuglia che, proprio alla vigilia del match contro il Cibona parlando con un giornalista romano, aveva espresso giudizi poco lusinghieri sul suo conto suscitando la forte reazione pubblica di Renato Milardi il quale invece, come pure Di Fazi, aveva intuito le grandi doti della Cavalletta Nera, che in finale fu assolutamente determinante.
«Eravamo molto nervosi – ricorda Brunamonti – si trattava della seconda finale in due anni per la squadra di una piccola città che non poteva fare programmi a lunga scadenza. Anzi, nelle ultime stagioni avevamo anche perso due pezzi importanti come Cerioni e Zampolini. Quante altre volte ci sarebbe capitata una simile occasione? Non volevamo sprecarla ma questa consapevolezza ci faceva giocare poco sereni. Durante l’intervallo, negli spogliatoi, Pentassuglia fu molto abile a sdrammatizzare la situazione e a farci stare più tranquilli».
Nel secondo tempo l’Arrigoni rientrò in campo più determinata e allungò leggermente sugli slavi che però, a metà ripresa, ebbero una discreta reazione. Sul fronte reatino Johnson accusava la fatica, mentre Sojourner non decollava. Tra gli italiani solo Brunamonti e Danzi avevano fatto qualcosa di buono. Pentassuglia aveva già provato Sanesi, ma Padella, troppo nervoso, era tornato in panca.
Il Cibona, trascinato da Nakic, Petrovic e Knego, si stava rifacendo sotto a -4, a 4 minuti dal termine. L’Arrigoni faticava a reagire. Pentassuglia passò in rassegna la panchina: gli occhi caddero su Alberto Scodavolpe. In campionato non aveva brillato molto, una sola volta in doppia cifra (11 punti) a Rieti contro la Superga Mestre e un canestro vincente a Pesaro. Però in semifinale a Spalato non si era comportato male mentre a Liegi, nel primo tempo, quando era entrato in campo, aveva segnato un paio di canestri, ma soprattutto non aveva commesso errori. Big Elio decise: Scodavolpe sarebbe tornato in campo.
Il Cibona stava rimontando. Palla a Rieti, ma la sfera, che non pareva più di cuoio ma di piombo, passava di mano in mano finché capitò tra quelle di Scodavolpe che era smarcato, forse anche perché battezzato, come suol dirsi, dalla difesa slava. A dire il vero Alberto avrà avuto pure tanti difetti ma la mano morbida gli veniva riconosciuta dagli allenatori. Ma questo probabilmente il pur ottimo tecnico Mirko Novosel lo ignorava. Fatto sta che Scodavolpe era smarcato per cui, senza pensarci su due volte, sparò un tiro che al giorno d’oggi sarebbe stato registrato come una tripla. Il suo coraggio venne premiato con un canestro. Il Cibona si riallontanò, ma poi si rifece sotto e Scodavolpe, invece di imitare Paganini, decise di concedere il bis. Altro tiraccio, altro canestro: le gambe degli slavi questa volta si piegarono. «Non vorrei sembrare presuntuoso – racconta Scodavolpe – ma in quel periodo ero in buona forma e quando segnai quei due canestri mi sentivo abbastanza tranquillo. Del resto il tiro è sempre stato la mia arma migliore. Non potevo permettermi di sbagliare».
Nell’ultimo minuto di gioco Lee Johnson ritrovò un po’ di birra in corpo, Danzi piazzò un tap-in importante e, grazie anche alla regola che all’epoca consentiva di rinunciare ai tiri liberi, Brunamonti amministrò il vantaggio finale. L’Arrigoni vinse 76-71: la Coppa Korac era di Rieti, che divenne la quinta città italiana a fregiarsi di un titolo europeo dopo Milano, Varese, Napoli e Cantù. Scodavolpe, invece, aveva qualcosa da raccontare ai nipotini davanti al camino nelle lunghe notti d’inverno.
Per fortuna Tele Radio Sabina 2000 aveva registrato la partita e così, due giorni dopo, fu possibile vedere la finale di Liegi che la Rai aveva registrato ma mai messo in onda. All’epoca pochi avevano in casa il videotape ma qualcuno registrò comunque la partita, della quale poi sono circolate un po’ di copie, divenute sempre più sfocate a causa delle molte duplicazioni. Per decenni, fino alla riesumazione del filmato orginale della Rai con la telecronaca di Aldo Giordani, fu quella l’unica testimonianza del giorno più importante non solo del basket ma, forse, anche dello sport reatino in generale: il 26 Marzo 1980.

Ecco il tabellino dello storico match:

ARRIGONI: Johnson 28, Brunamonti 13, Sanesi 2, Danzi 13, Scodavolpe 8, Sojourner 13, n.e: Olivieri, Blasetti, Bonino, Di Fazi. All.: Pentassuglia.
CIBONA: Nakic 21, Petrovic 17, Becic 8, Pavlisevic, Despot 6, Knego 17, Usic 2, Dogan, Gospodnetic. All.: Novosel

A Liegi nessuno dormì quella notte: chi si fece aprire la piscina dell’albergo per farsi un tuffo completamente vestito; chi invece andò a tentare la fortuna al casinò; chi fece un giro in pullman a vedere Liegi by night e a visitare, ma “solo per guardare”, le signorine in vetrina del quartiere a luci rosse, già testato in precedenza da Sojourner, e dove qualcuno fu irreparabilmente “tanato”. La città venne tenuta sveglia dai caroselli di auto dei reatini cui si aggregarono molti immigrati.
E a Rieti cosa successe quella sera? Gioia e caroselli misti ad un grosso rimorso da parte di coloro che, temendo un’altra Belgrado ’79, non ebbero il coraggio di spararsi circa 48 ore di autobus o di auto. Chi l’ha avuto, invece, si divertì moltissimo.
Sbarcata a Fiumicino, la comitiva ripartì alla volta di Rieti. «I posti per il viaggio di ritorno non bastavano – ricorda Massimo Cavoli – C’erano poche auto disponibili ed eravamo tutti quanti carichi di omaggi e souvenir, così diedi un passaggio ad Aldo Faraglia che aveva anche il compito di tenere la Coppa Korac con se. Per cui ho avuto il grande onore di portare a Rieti nella mia auto il prestigioso trofeo».
La comitiva partì da Fiumicino verso le 23: «Arrivati a San Giovanni Reatino – prosegue Cavoli – fummo attardati da un controllo della polizia. All’epoca non c’erano i telefoni cellulari e non si sapeva esattamente a che ora saremmo ritornati per cui, di ora in ora, la Salaria era stata progressivamente intasata da centinaia di auto di tifosi che ci aspettavano alle porte di Rieti. Ovviamente dovettero intervenire polizia e vigili urbani per dirigere il traffico a quell’ora inconsueta. E così fummo scortati fino in città».
«A Liegi ero felice ma non avevo realizzato bene l’importanza dell’impresa appena compiuta – ricorda Brunamonti – ma una volta tornati a Rieti mi sono realmente reso conto di cosa avevamo fatto. Sceso dal pullman in piazza Cavour, mentre salivo su per via Roma, a quell’ora di notte, faceva pure un bel freddo, la gente continuava ad aumentare ad ogni passo. Arrivato in piazza del Comune, c’era una immensa folla di tifosi. Fu una cosa straordinaria».
«Guidai per via Roma tra due ali di folla – aggiunge Cavoli – io e Faraglia tenevamo alta la Coppa Korac e attraversammo la piazza per transitare sotto gli archi del municipio a parcheggiare».
L’Arrigoni fu accolta dal sindaco, Ettore Saletti, anch’egli presente a Liegi. Sojourner, che aveva al fianco Pentassuglia e Johnson, si potè affacciare dal balcone del Municipio per mostrare la Korac a una piazza Vittorio Emanuele stracolma di gente festante. Per pochi minuti fu lui il vero primo cittadino di Rieti. Qualcuno dalla piazza, ammiccando verso Saletti, chiese: «Ma chi è quello là vicino a Willie?».

Foto: Basketrieti.com ©

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