“LÀ DOV’È IL TUO TESORO” – CARO CALDEROLI, ESSERE CATTOLICI È UN’ALTRA COSA

Nuovo appuntamento domenicale con la rubrica di Don Fabrizio Borello.

Sta facendo il giro del web, della tv e dei giornali l’ultima recentissima sparata del “nostro” vice-presidente del senato, il leghista Roberto Calderoli. Nel suo intervento durante una festa nel bergamasco ha fatto tre affermazioni che, se prese a se stanti, non avrebbero destato grande scalpore, ma che collocate all’interno di un medesimo discorso lasciano almeno meravigliati se non addirittura basiti. In queste tre dichiarazioni, il cui perfetto ordine non mi è dato di conoscere non avendo trovato in nessun sito l’intervento intero, Calderoli afferma di essere “profondamente cattolico”, parla della “sua malattia, delle sei operazioni subite e della chemioterapia” a cui si è sottoposto e invita “il Papa a portarsi a casa sua gli immigrati clandestini”. Inoltre il tutto sale alla ribalta delle cronache mentre giunge la notizia dell’ennesima strage di clandestini in mare. (Quando si dice il tempismo!). Mi permetto di fare queste brevi considerazioni prendendo come spunto il sig. Calderoli perché le sue affermazioni “di pancia” riflettono il modo di pensare di una parte non tanto piccola degli italiani i quali non riescono a cogliere quanto gravi e profondamente incongruenti siano tra loro. Mi piacerebbe ricordare ai tanti “Calderoli” italiani che definirsi “cattolici” non è un fatto “culturale” e non vuol dire appartenere anagraficamente ad un’area geografica o ad un gruppo sociale; vuol dire una cosa ben precisa: appartenere alla comunità dei discepoli di Gesù Cristo che si riconoscono nella Chiesa cattolica, presieduta nella carità dal Vescovo di Roma. Vorrei inoltre sottolineare il fatto che essere discepoli di Gesù vuol dire avere Lui come criterio di discernimento (lo ricordo innanzitutto a me stesso!), Lui che nel capitolo 25 del vangelo di Matteo ci ha ricordato che “è benedetto dal Padre chi dà da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, chi veste chi è nudo, chi ospita il forestiero, assiste i malati e va a far visita ai carcerati”. Non si è “cattolici” se si scaccia via il clandestino, anche se puzza, dà fastidio e ruba… non si è “cattolici” se si parla male del Papa, tra l’altro dicendo deliberatamente delle cose scorrette pur di attirarsi qualche applauso ad effetto e di un Papa come Francesco che ha dato riprova più volte della coerenza di vita e di scelte che sta anche chiedendo a tutta la Chiesa cattolica. Nessuno ci obbliga ad essere cattolici, ma se diciamo di esserlo almeno prendiamo coscienza di quello che diciamo. Vorrei terminare questo “sfogo” con una considerazione. Nessuno sceglie deliberatamente di lasciare la propria casa, la propria famiglia e il proprio mondo se non spinto dall’illusione di trovare qualcosa di meglio perché la propria casa, la propria famiglia e il proprio mondo non consentono più la minima sopravvivenza. Questi uomini, donne e bambini vivono il dolore del distacco, la sofferenza delle condizioni in cui sono ammassati prima e durante i viaggi che spesso non arrivano nemmeno a vedere la fine, sommando il dolore alla morte! Nel pieno rispetto e nella totale solidarietà verso l’esperienza di malattia e di sofferenza dell’uomo Roberto Calderoli…mi chiedo quando, come cattolici o semplicemente come uomini, riusciremo ad essere solidali, a riconoscere la sofferenza dell’altro, a cambiare registro e ad entrare nella logica dell’amore. E se davvero fosse questa la vera alternativa a tutto il male del mondo! Considerazione ingenua??? Forse, ma essere “profondamente cattolici”, caro Calderoli, vuol dire anche saper sognare. Don Fabrizio

Foto: RietiLife ©

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